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La vicenda di Roma e la fine di un'epoca

di Gianni Fraschetti -

La vicenda che sta emergendo a Roma, con il suo intreccio indissolubile tra denaro criminalità e politica, ci pone di fronte all’evidenza palmare e inequivocabile di essere giunti al capolinea del sistema instauratosi in Italia alla fine della Seconda guerra mondiale. In questo lungo dopoguerra non solo è emerso e si è consolidato un nuovo assetto geopolitico planetario ma è stato addirittura definito un diverso modello umano, maggiormente rispondente al cambiamento in atto e al nuovo ordine mondiale scaturito da quel conflitto.

Di fatto, nel secondo dopoguerra, si è avuto il sopravvento assoluto dell’ interesse economico e grossolanamente materialista che ha determinato nella società un clima etico spirituale a sua immagine. Da allora ha preso le mosse l’ ultima fase della storia contemporanea, quella che ci conduce alle vicende dei nostri giorni e si è affermato un modo di vivere che ha quale unico fondamento il benessere materiale.

L’ ubiquità e la potenza dei mass-media sono stati in grado di operare in questo lasso di tempo, tutto sommato abbastanza breve, una profonda trasformazione delle coscienze, imponendo archetipi e modelli culturali globali e globalizzanti e ignorando, tacendo e distorcendo quanto contrastava o si allontanava da tali modelli, dalle parole d’ordine ufficiali e dalle mode imposte. Col passare del tempo, immersi in una realtà professionalmente artefatta e distorta da un cumulo di menzogne, abbiamo progressivamente perso ogni memoria del passato e ogni interesse nel futuro.

Viviamo in un presente totalizzante, dominato dall’ interesse e dalla convenienza immediata e i valori tradizionali, per loro stessa natura eterni e immutabili, sono stati gradualmente ma inesorabilmente sostituiti da miti e parole d’ordine conformi al nuovo modello, da una nuova visione del mondo dove tutto ha ormai un prezzo ma niente in definitiva ha più valore e da un relativismo che ha cancellato gli “assoluti morali” (uccidere un bambino innocente è sempre e comunque un delitto, per esempio) riducendo tutta la sfera etica a una questione di punti di vista e riconducendola quindi nell’ambito delle convenienze. Non si fa più ciò che è giusto, ma ciò che ci avvantaggia, riducendo etica e ideali a inutili e ingombranti pesi dei quale liberarsi il prima possibile.

La guerra, ufficialmente, non c’è più. Anche se non ci sono mai state così tante aree di conflitto e di instabilità nel mondo, questo sgradevole vocabolo è stato abolito d’ ufficio e rimosso dal vocabolario del politicamente corretto perché il termine guerra evoca sentimenti ed emozioni che mal si addicono ai nostri tempi e quindi non va nemmeno nominata. Tale improvvisa scomparsa ha lasciato però un vuoto lessicale difficile da riempire, specialmente quando si continua a farla sottobanco, tornano a casa decine di bare avvolte nelle bandiere e allora si è inventata la accattivante favola che gli eserciti servono a difendere la pace ed esportare la democrazia.

Vale a dire, a proteggere gli interessi delle società più ricche, imporre e mantenere egemonie economiche, assicurarsi mercati e materie prime e creare spazi ai capitali in cerca di profitto. Ed è risaputo che capitali e capitalismo sono gli unici veri fenomeni internazionalisti realmente apparsi nella storia e quindi “esportazione della democrazia” e “difesa della pace” non conoscono confini e fusi orari. Sono in perenne attività, esattamente come le borse mondiali. Ovviamente tutto ciò non si può dire, e allora si è trovato infinitamente più comodo abolire la guerra e inventarci la panzana della difesa della pace.

Gli americani, che come ben sappiamo precorrono i tempi e tracciano sempre la illuminante strada da seguire, ormai da anni utilizzano sempre di più compagnie militari private per questo genere di attività. Hanno nomi esotici, Blackwater o come si chiamano adesso Xe, Watchguard, DynCorp, Triple Canopy, Aegis, Sandline International e via discorrendo. Insomma non vi è che l’ imbarazzo della scelta, dispongono dei migliori equipaggiamenti e armamenti per questo genere di conflitti e risolvono un sacco di problemi, con buona pace di tutti e soprattutto con molte meno imbarazzanti bare a stelle e strisce che tornano a casa in tempo di pace. Sono l’ ultima rivisitazione al ribasso dei cari, vecchi mercenari, presenti nella storia dell’ uomo fin dai tempi dell’ antico Egitto e anche per loro è stata effettuata una cosmesi linguistica e di contenuti per adeguarli ai tempi. Mercenario non andava per niente bene, troppo connesso con la violenza, il sangue e la morte, tutta roba che mal si addice alla difesa della pace.

“…Dove i figli della guerra, partiti per un ideale, per una truffa per un amore finito male…”, l’antologia di Spoon River e la carica antiborghese e dissacrante contenuta nel motto mercenario “vive la mort, vive la guerre, vive le sacrè mercenaire…” avrebbero potuto colpire l’immaginario collettivo dei giovani e mal si conciliava col progetto di società svirilizzata e tutta tesa alle conquiste “gender” che avevano in mente ai piani alti. E dunque anche i mercenari non sono più loro. Rimosso l’alone romantico, l’epica del “beau geste” e il fascino crepuscolare degli uomini perduti, è stato cucito loro addosso un abito nuovo di zecca. Moderno.

Contractors, tale è il bellissimo nome scelto per definirli, una roba che evoca cantieri edili più che campi di battaglia urbani o savane inestricabili. Lavati, stirati, lindi e pinti, non sono soggetti a regole d’ ingaggio, alla giustizia militare, agli obblighi e ai diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra per le truppe regolari e per loro non è previsto alcun funerale di stato e tantomeno un posto nel cimitero di Arlington. Hanno esordito ufficialmente durante la seconda guerra del Golfo dove ne sono stati impiegati trentamila, da allora sono diventati il punto fermo di ogni successivo intervento militare e generano un giro d’ affari da cento miliardi di Euro all’ anno. Un business nel business.

E’ difficile percepire quanto sto dicendo poiché viviamo stabilmente immersi nella comunicazione istantanea e le notizie hanno una vita talmente breve, prima di essere sostituite da quelle successive, da non poter essere correttamente recepite, valutate e metabolizzate. Soprattutto non vi sono limiti alla possibilità di manipolazione della realtà, e se ciò non bastasse, a una censura preventiva tombale. Lo stesso evento può essere rappresentato in mille modi differenti o passato sotto silenzio, visto che ciò che non viene tramesso in televisione o raccontato dai giornali è come se non fosse avvenuto ed è incredibile ciò che si riesce a fare con un po’ di spregiudicata fantasia, una certa dose di mancanza di scrupoli, di cinismo e parecchia ipocrisia

In tale logica è molto istruttivo e divertente osservare come il portarsi via uno Stato, magari perché ricco di qualche risorsa naturale, una azione assolutamente esecrabile se raccontata in questi termini, diviene, dopo un duro e infaticabile lavoro di lima degli “spin doctors” e dopo adeguata presentazione mediatica, un evento in cui tutti, indistintamente, possono riconoscere i segni di una morale amabile e se vogliamo anche gradevole e politicamente corretta: l’ autodeterminazione di un popolo. I casi di Irak, Libia e Siria e le primavere arabe ne sono la più atroce delle testimonianze.

In un simile contesto il confine tra l’ interesse nazionale, ovvero della nostra collettività e altri tipi di interessi, di natura strettamente privata, diventa assai labile per non dire inesistente e la stessa funzione dello strumento militare viene ad assumere connotati schizofrenici. Basta pensare all’operazione “Mare Nostrum” per avere la plastica rappresentazione di come è possibile addirittura capovolgere la natura e il fine istituzionale delle Forze Armate.

Le guerre hanno sempre affondato le loro radici nell’economia traendone però motivazioni che trovavano la loro legittimazione in un superiore interesse della comunità. Ormai da tempo non è più così. Dopo l'ultima guerra, quella del sangue contro l’oro, le parti si sono invertite ed è il superiore interesse collettivo che deve sistematicamente soggiacere alle ragioni di una economia rapace che dietro il comodo paravento di un mondialismo strumentale e di facciata trova il pretesto per affondare gli artigli ovunque.

L’ economia è ormai percepita da tutti come una religione, anche dal salumiere sotto casa che si guarda Bloomberg e commenta le oscillazioni dei titoli con i suoi clienti, convinto anche lui di essere un protagonista. Una religione che ha il suo Pantheon nel mercato e porta inevitabilmente alla finanziarizzazione di qualsiasi aspetto della vita umana. Anche in questo caso gli infaticabili manipolatori hanno estratto dal cilindro la parola magica nella quale tutti possono riconoscersi, modernità.

Nessuno può essere così stupido da opporsi alla modernità e così, in suo nome, si tramutano guerre e disperazione in cumuli di denaro. Ad Hanoi e Kabul accettano ormai l’American Express e il Club Mediterranee ha costruito un villaggio vacanze vicino al vecchio palazzo imperiale di Bao Dai. Alla faccia di Ho Chi Minh, di Giap e delle centinaia di migliaia di vietnamiti, francesi e americani morti in quel conflitto.

Tre semplici parole dunque, pace, democrazia, modernità e il gioco è fatto. Il più disumano, aggressivo e pericoloso imperialismo che la storia abbia mai conosciuto, il potere economico, ha mano libera nel perpetrare ogni nefandezza nel perseguimento dei propri obiettivi ed estende su scala mondiale un sistema di oppressione che, sebbene più raffinato, non è meno crudele del possesso di schiavi come beni personali.

Tramite la sola legittimazione della forza del denaro ha imposto una visione riduttiva dell’uomo e delle sue possibilità, mortificandone le aspirazioni, appiattendone ogni superiore potenzialità e riducendolo a esaurire il proprio destino quale mero elemento di produzione e consumo. Poco più di un animale, di un povero pollo di batteria. Ambedue inconsapevoli, l’uomo e il pollo, di sè e di ciò che li circonda.

Quando si afferma dissennatamente, quasi con malcelata soddisfazione, che viviamo nell’era post ideologica, quando demoliamo, irridiamo e neghiamo la nostra spiritualità, quando, come a Bologna, in pieno delirio gay, si arriva a sputare sul grembo di una donna incinta, forse non ci si rende pienamente conto del punto a cui siamo arrivati. Alla comunione con Satana.

Qualcuno, mi pare Junger, disse: “… E’ in atto un tentativo, tipicamente aritmetico, di tramutare il destino in una grandezza definibile con strumenti di calcolo…”, e vi sono molte imbarazzanti analogie tra la parabola dell’ Occidente e quella dell’ Impero romano, specialmente nella fase finale. Loro, perduti nei baccanali e ripudiata l’etica romana, assoldarono intere tribù di barbari nella estrema illusione che li avrebbero difesi, noi abbiamo i contractors. Più o meno la stessa cosa ma Dio onnipotente, che pena...

Private di saldi valori di riferimento, di ragioni valide, e confinate nelle disumane periferie metropolitane strutturate secondo le necessità del neocapitalismo dei consumi, le nuove generazioni crescono smarrite e senza fiducia in se stesse e nel proprio futuro, nella più completa ignoranza del mondo e condannate, nei casi più fortunati, a esaurire la vita nel circuito metrò- lavoro – riposo.

Vivono totalmente immerse nella “civiltà” del computer, del telefonino, della tv e dell’oblio, circondate da un benessere sempre più fittizio che le lusinga, le blandisce, le seduce ma che di fatto non riescono ad afferrare, succubi di un sogno indotto, di un modo di essere, di pensare e di vivere che è stato loro imposto e quotidianamente e ossessivamente riproposto, che le costringe a desiderare sempre di più, accettando qualsiasi compromesso e scorciatoia pur di raggiungere un isola che non c’è.

Sono immerse infatti, come tutti, in una realtà virtuale abilmente confezionata che ammicca seducente ovunque si giri lo sguardo, proponendo modelli estetici, culturali e morali negli spazi fisici e mentali delle discoteche, degli outlet, dei centri commerciali e della televisione, stimolando l’immaginario in modo gentile, attraente e rassicurante, generando un senso di servitù volontaria pur di giungere a una parvenza di identificazione con tali modelli.

Questa quotidiana frustrazione e questo bisogno impellente le spinge sempre più all’ignoranza, all’egoismo, alla furbizia più gretta e alla più totale mancanza di scrupoli. L’apoteosi del consumismo di massa ha scardinato gli equilibri economici delle famiglie, attratte dalle nuove possibilità che vengono offerte da un mercato sempre più avido e sempre più funzionale ai nuovi bisogni del capitalismo.

Tutto si compie in nome del dio denaro.

Una casta parassita governa di fatto il pianeta e ha organizzato e gestisce una super truffa tramite quei Casinò malfamati che sono attualmente le Borse mondiali i cui protagonisti hanno legami diretti e molto stretti con tutte le disgrazie del mondo. E’ questa gente che decide la pace o la guerra, la ricchezza o la povertà e tutto ciò che ne consegue.

E’ emersa una nuova, strana, forma di democrazia, se ancora la vogliamo chiamare così, in cui le politiche non sono più proposte dai governi e decise dai Parlamenti ma direttamente dai mercati finanziari internazionali sempre più compromessi e inquinati da migliaia di miliardi di dollari provenienti dal narcotraffico, dalla vendita di armi, dalle ecomafie, dal traffico di carne umana e da tutte quelle attività illecite che prosperano allegramente in ogni angolo del pianeta. Questo fiume sotterraneo di inaudita ricchezza ovviamente non finisce sotto il mattone e dentro il materasso, ma da qualche parte alla fine emerge e si inserisce nei compiacenti circuiti finanziari internazionali. La cosa è talmente lampante e implicita che ormai è entrato ufficialmente a fare parte del PIL.

Il denaro frutto del sangue e del dolore di milioni e milioni di individui diventa così improvvisamente rispettabile e si abbatte sulla economia reale provocando altri danni, altro dolore, altri lutti. Una economia canaglia in grado di condizionare la vita di ogni singolo individuo di questo pianeta e le scelte di ogni singolo stato.

Tutto questo scintillante circo equestre ha ovviamente influito sulle coscienze, sull’etica e sul comune sentire. I confini morali tra lecito e illecito divengono sempre più incerti e labili, scarsamente difesi e avviati ormai a scomparire del tutto, e atteggiamenti e comportamenti che un tempo sarebbero stati comunemente ritenuti intollerabili sono mediamente valutati con molto meno rigore.

Ricatti, scandali, ruberie, privilegi, concussioni, corruzioni, dissolutezze, mazzette e traffici di ogni tipo fanno ormai parte da tempo del nostro quotidiano, come stiamo vedendo anche in questo momento con la questione Roma della quale è evidente che non si riesce a comprendere la reale portata, e non solo non ci facciamo quasi più attenzione ma addirittura rappresentano per molti, forse per troppi, una possibile fonte di ispirazione per conformare la propria morale e il proprio stile di vita alle usanze correnti.

Rubare, forse, è ancora un reato penale ma non si incorre più in quella rigorosa condanna collettiva che segnava l’ingloriosa morte civile di un individuo. Viene giudicato un comportamento normale perché il nobile sentimento dell’ indignazione è ormai quasi del tutto scomparso, perduto nella maleodorante palude dell’assuefazione. La reazione stupefacente del ceto politico e della cittadinanza ai fatti di Roma è sintomatica in tal senso. Invece di dimissioni di massa e di proteste al limite della rivolta, siamo alla difesa a oltranza della poltrona e all’indifferenza più totale. Come se ci avessero raccontato dello scippo di un gelato o di qualcuno che è passato col semaforo rosso.

Pier Paolo Pasolini che aveva capito tutto scrisse: “…l’ adesione ai modelli imposti dal centro è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono stati rinnegati. L’ abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la tolleranza della ideologia edonistica, voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana...”.

Ogni collante identitario e comunitario stato aggredito e dissolto. Ognuno per sè e tutti contro tutti, ma il grande circo mediatico, con il Santo Padre in testa, diffonde a piena voce il messaggio dolce, rassicurante e totalmente falso della lieta novella, del mondo globale, del mercato globale, della finanza globale, della fratellanza globale e della pace universale senza che nessuno abbia il minimo sospetto di quale sia il prezzo da pagare per tali corbellerie. Tanto, comunque, si spera che sarà qualcun altro a farsi carico del conto.

A chiacchiere ci vogliamo tutti un gran bene e nero, bianco o giallo che sia chiunque è nostro fratello salvo carbonizzarlo poi col napalm e riempirlo di proiettili all’ uranio impoverito se solo si permette di essere in leggero disaccordo sul metodo di organizzare il mondo dei padroni del vapore.

Alle grandi lobbyes va benissimo così. La filosofia multietnica, multiconfessionale, multirazziale, multilaterale e multisessuale ben si sposa con l’ idea di espansione infinita dei mercati e dei consumi, i conflitti sono benzina ad alto numero di ottani nel motore di tale meccanismo e il lamento confuso dei pacifisti in sottofondo con le loro belle bandiere arcobaleno aggiunge un po’ di allegro folklore, quel tanto di polifonicità che in democrazia non guasta mai, quel minimo di teatralità che evoca tanto il coro della tragedia greca e dona al tutto un elegante tocco di raffinata cultura.

Lenin li definì “…i saggi filistei…”, cito a memoria ma è sempre Lenin a parlare, “…frutto di una coscienza malata, pressati dall’ esigenza di sentirsi ed autodichiararsi assolti dalle responsabilità e dalle tragedie della storia, preoccupati unicamente di figurare moralmente migliori degli altri, hanno fatto del loro scalpore umanitario un professionismo e sopra il loro tumulto si innalza il polverone che dovrebbe celare al nostro sguardo la realtà incombente delle guerre… “.

il bolscevico ha fatto la radiografia dell’ anima di certi soggetti e se fosse vissuto oggi sarebbe inorridito.

Sembra impossibile che non si riesca a vedere con chiarezza l’ esistenza di una dittatura del pensiero economico in quanto tale, il cui ambito comprende ogni possibile forma di governo adattandola al proprio metro e ai propri interessi e costringendo ogni altra espressione legittimata all’accettazione di tale supremazia.

L’Occidente, noi in particolare, è ormai assediato da popoli poveri e disperati che abbiamo depredato senza ritegno durante la luminosa epopea delle colonie e abbandonati a se stessi, alla loro miseria, alle loro carestie e alle loro epidemie, nella fase susseguente a quella coloniale. Fase nella quale qualcuno si è preso la polpa, ovvero le strutture di dominio economico e le concessioni sullo sfruttamento delle materie prime e delle risorse alimentari ed idriche, liberandosi però dell’ osso, il fastidio di doversi minimamente occupare di queste popolazioni.

Il processo di decolonizzazione e autodeterminazione dei popoli, altre due parole magiche che suonano meravigliosamente bene e coniate appositamente per definire questo scempio, è però ben lungi dall’essersi concluso.

Le cose sono infatti andate diversamente da come erano state ipotizzate dagli ideatori del nuovo assetto mondiale, che non avevano certo previsto quanto sarebbe loro toccato. A partire dal Vietnam quando non mossero un dito per aiutare i francesi, ansiosi come erano di sostituirli con il loro modello neocoloniale nuovo di zecca, per fare poi la fine comica che hanno fatto. E non immaginavano certo, nel prosieguo del loro progetto di ordine nuovo, di doversi addirittura impegnare in estenuanti guerre di ricolonizzazione, delle quali Afghanistan, Irak , Libia, Siria e il resto dell’ Africa, del Medioriente e dell’ ex impero sovietico sono solo gli ultimi, drammatici esempi.

E badate bene, nessuno è senza colpe. Chi più, chi meno, tutti hanno fatto la loro parte. Vincitori e vinti. Noi italiani dovremmo vergognarci delle condizioni in cui versa la Somalia, altro che Mare Nostrum e non aggiungo altro per carità di Patria. Abbiamo sostituito il colonialismo vecchia maniera con quello, ancora più esecrabile, fatto della più assoluta indifferenza verso territori e popolazioni soffocate nella morsa delle multinazionali e degli speculatori finanziari.

Al colonialismo delle terre, che riguardava solo il Terzo Mondo, si è adesso sostituito quello universale delle menti. Ci hanno mondializzati, tentando di fare delle Nazioni dei melting pot coatti e dei popoli una massa meticcia, informe e inconsapevole di cerebrolesi. Sempre più globalizzati, senza radici culturali e valoriali, senza nessuno spirito di appartenenza, senza fede e valori, sempre più soli e senza il conforto di qualcosa di più grande che possa sopravvivere a noi stessi, i confini di ogni individuo si sono mano a mano ridotti fino a non superare più lo zerbino di casa. Tutto questo lo hanno chiamato progresso.

Autodeterminazione dei popoli, decolonizzazione, pace, democrazia, modernità, progresso. Gli spin doctors dell’ ordine nuovo hanno fatto veramente miracoli per definire l’inferno nel quale i loro padroni hanno sospinto il mondo.

Anche ora, anche in questa situazione, cosa facciamo di fronte alla prospettive concreta e attuale di milioni di disperati che fuggono dalle guerre, dalle carestie e dalle persecuzioni e attratti dal miraggio del nostro illusorio benessere hanno già iniziato a riversarsi da noi come uno sciame di locuste?

Erano almeno cinquant’anni che eravamo al corrente del tipo di progressione demografica esistente in quei territori, eppure non li abbiamo aiutati a vivere casa loro e abbiamo lasciato che fossero governati da regimi despotici, corrotti e sanguinari, incapaci di garantire anche la sopravvivenza spicciola ai loro popoli. Regimi con i quali abbiamo fatto grossi e succulenti affari e che hanno permesso alle multinazionali occidentali di depredare le loro terre ed affamare la loro gente come e quando volevano, e ora che stanno andando a pezzi, che li andiamo anche a bombardare, che tutto il castello di carte che avevamo sciaguratamente costruito sta crollando, che ci siamo resi conto improvvisamente di quale era, quantitativamente e qualitativamente, il tipo di esplosione demografica con la quale dovevamo fare i conti e che sono ormai in atto migrazioni bibliche di moltitudini di giovani affamati di pane e di vita, noi che si fa?

La risposta è scarna, desolante e se vole anche volgare. Parliamo, organizziamo vertici, ci rimpalliamo le responsabilità ma di concreto ci organizziamo per lucrarci sopra. Per fare grasso anche della disperazione. Per fare la scarpetta nel piatto del dolore. Tutti d’accordo in ciò: malavitosi, politici, ecclesiastici e giornalisti. Ovvero la classe dirigente di questa Nazione. Senza esclusione alcuna.

E’ un vero schifo, un atteggiamento criminale e una politica dell’accoglienza - dalla Caritas, alle ONG, alle Cooperative rosse e bianche - dai presupposti talmente ignobili che si commentano da soli.

Questa pare l’ unica risposta che la nostra classe dirigente, in toto, ha inteso dare al problema, utilizzando questa nuova disperazione per arricchirsi ancora di più. Per ingozzarsi senza alcuno scrupolo.

Siamo finiti e non solo non ce ne accorgiamo, ma non abbiamo la benché minima percezione di quanto sta avvenendo. Spostando sempre più avanti la frontiera della loro avidità, stanno appiccando ovunque incendi che non saranno mai in grado di spegnere.

Gli stessi governi che si succedono non rappresentano altro che una mera espressione dei padroni dell economia e della finanza mondiale che ne mutano gli uomini e le composizioni secondo gli umori dell’ opinione pubblica. Chi non serve più, come Monti e Letta, viene buttato via come una scarpa vecchia. L'importante è fornire al corpo elettorale l’illusione del cambiamento, ma di fatto è solo un alternarsi sul palcoscenico di comici stipendiati dallo stesso impresario che interpretano con stili differenti lo stesso copione, senza permettersi di mutare una virgola nei passaggi che realmente contano.

Il disegno di uccidere i popoli in quanto tali, eliminare le identità culturali ed etniche e di estirpare la parte istintiva e nobile presente in ogni individuo procede ormai a tappe forzate, col preciso intento di immunizzare i corpi sociali dal pericolo di contagio dell’altruismo, dell’eroismo e della generosità. Parallelamente si tenta di cancellare la lealtà, lo spirito di sacrificio e l’energia, tutte qualità superflue, anzi pericolose, per chi intende creare un tipo umano del tutto nuovo.

Un tipo umano dal sesso incerto, nato senza una famiglia, quella famiglia naturale che rimane ormai l’ultimo baluardo, l’ultimo ostacolo rimasto a frapporsi tra le lobby liberal che governano tutto l’Occidente e il baratro. Un individuo solo, senza affetti, slegato dai suoi simili, dalla natura e dai buoni sentimenti, non ha più difese, e smette di essere uomo sociale per ridursi al randagismo tra i cassonetti del mondo, degradato alla sola pulsione sessuale ridotta anch’essa a pratica incerta.

Stanno riducendo l’essere umano a un soggetto pavido, gregario, passivo e spersonalizzato, perfettamente funzionale alla logica e alle necessità del mercato globale, perché solo ridotti in tale condizione diveniamo strumenti ottusi e malleabili. Solo isolandoli, privandoli dell'anima e mortificando la loro essenza gli uomini diventano “nessuno”. Solo così accettano tutto, anche il cannibalismo e il suicidio sociale, come stiamo vedendo in questi giorni. Solo così arrivano a odiare la vita. Solo così non si batteranno mai, perché hanno cessato di essere uomini.

E’ chiaro che negare, anche in maniera ruvida come sto facendo in questo momento, che il mondo economico e le sue centrali di potere debba essere l’unica forza in grado di determinare interamente la vita degli esseri umani e controllare il destino del mondo, significa contestarne il rango e la gerarchia che ne deriva, non certo l’esistenza e non implica la sua rinuncia che sarebbe impensabile ma semplicemente la sua subordinazione al rispetto delle altre componenti sociali che concorrono all’insieme del tutto. Ammesso che qualcuno lo volesse e ne dubito fortemente, ci vorrebbero molti anni per invertire la rotta, con tutti i problemi connessi.Ma ritengo che ormai non sia più possibile.

Non si può dire semplicemente, da oggi si cambia registro. I valori non sono virtù che si possono imporre per decreto, o si possiedono o si rifiutano. O peggio, come accade oggi, si deridono.

Forse avremmo potuto fare qualcosa molti anni fa, prima della industrializzazione selvaggia del secondo dopoguerra, dell’abbandono delle campagne, delle periferie ghetto delle grandi città del Nord, del miracolo economico, delle autostrade, dell’auto per tutti, delle cambiali e del credito al consumo. Prima del mercato globale, della finanza creativa e di quella d’assalto, dei Bond argentini e dei derivati, per cui se fallisce una Banca del Wisconsin falliscono anche tre artigiani di Gallarate. Prima delle televisioni commerciali, degli spot e dei programmi di evasione, prima dell’ammasso dei cervelli e della morte della cultura.

Ora è troppo tardi. Abbiamo perso anche la curiosità, la voglia di conoscere e di capire, la forza per reagire. L’uomo nuovo, il gender, questo strano ibrido della nuova società senza sesso, è già tra noi e l’ interesse di tutti è talmente concentrato sulla bistecca che poco importa sapere come è stata uccisa e macellata la vacca.

La vicenda di Roma ci insegna che ormai siamo solo passivi di fronte a ciò che accade. Subiamo tutto e lasciamo che la vita scorra via senza viverla, senza stimoli, senza quell’ansia di verità che dovrebbe essere il principale elemento connotativo di un essere umano e se così non fosse, se non fossimo già stati debilitati in profondità, dubito fortemente che sarebbe consentito accedere alla rete con tanta facilità.

Dove il desiderio di vivere, di sapere e di conoscere è forte, la censura è spietata e d’altronde veniamo educati fin da bambini a non pensare, ad accettare questo nostro meraviglioso stile di vita e a farci rigorosamente i fatti nostri. Il regno del tutto identico ha occupato tutto lo spazio a disposizione, ogni relazione umana e sociale è stata sterilizzata e tutti viviamo intrappolati in una palude di passività e di impotenza.

Non potremo mai cambiare nulla se non avremo delle verità a cui credere e dei valori da difendere e ormai non abbiamo più niente. Tremila anni di storia dissolti come neve al sole, immolati sull’altare del mondialismo più stupido, gretto e disumano che mente umana potesse concepire.

Ci hanno tolto tutto, sono rimaste solo le rate e le bollette da pagare, il calcio, una miriade di scadenti programmi televisivi da guardare e una vita che si consuma in un eterno e triste presente, proprio come quei poveri polli di batteria cui avevo fatto cenno prima.

Produci, consuma e crepa, e se ti riesce ruba. Ecco la sintesi dell’attuale idea di felicità e la sostanza della nuova organizzazione della nostra vita. L’eterno ritorno del sempre uguale, l’isolamento, l’ansia, la noia, la nausea di vivere, le passioni tristi, la fine di ogni possibilità di essere liberi, sottoposti come siamo a mille sottili forme di dominio che ci inducono a considerare questo vuoto, questo orrore generalizzato, questa vita squallida e desertificata e anche Carminati, Buzzi, Marino, Alemanno, Odevaine e compagnia bella, come normali e ineluttabili.

La fitta e vischiosa trama degli interessi blocca sul nascere qualsiasi ipotesi di movimento e non esiste alcuna posizione di partenza dalla quale sia possibile aprire una breccia in questa cappa plumbea e respirare, finalmente respirare. Siamo tutti impegnati a ricercare il benessere economico a ogni costo e tra breve a tentare di sopravvivere.

Che ciascuno segua il proprio egoismo più triviale, quindi. La società dei consumi e le Borse richiedono infatti degli idioti incrollabilmente ottimisti, autisticamente ricurvi sui propri bisogni e impegnati a rafforzare la propria autostima a colpi di carta di credito, e come per i romani, non basteranno tutti i contractors di questo mondo a salvarci.

Essi sono solo la drammatica prova, il segno infallibile che siamo giunti all’ultima stazione. Qui finisce la ferrovia.

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