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Matteo, il Savonarola di Pontassieve è “molto irritato” con Lupi e per quelle questioni di opportunità che fanno arrossire. Naturalmente, il “caro Leader” non è arrossito né per il padre della Boschi né per il suo.


 

 

di N.P.


Il Ministro Lupi è si è dimesso dopo che, come si conviene “alla giustizia” italiana, dalla Procura c’è stata la solita fuga di notizie che ha messo in piazza le sue telefonate private senza che ci fosse nemmeno l'avviso di garanzia nei suoi confronti. 

Una storia miserabile di vestiti sartoriali, biglietti d’aereo, posti di lavoro al figliolo e un Rolex arrivato per la laurea. Storie tristi di omini tristi che a ben vedere, però, lasciano il tempo che trovano soprattutto se la magistratura non ci ha trovato (fino a ora) notizia di reato. Miseria morale e basta ma una miseria che fa comodo però, perché le Infrastrutture, che raccoglie Lavori Pubblici, Trasporti e navigazione, è un ministero ricco e importante e sembrava davvero strano che fino a ora fosse sfuggito alle “grinfie” del premier, che da bravo “caro leader” sta cercando di accaparrare per sé e i suoi tutte le poltrone che contano o che hanno anche solo un po’ di rilevanza.

Da qui l’immediato gelo sceso tra Renzi e Lupi. Guarda caso, dove non ha potuto Pittibimbo forse potranno i magistrati che pure – almeno all’apparenza - non lo amano, dandogli la possibilità di muovere un’altra pedina per andare a dama. E così, il premier osserva con “l’aria” cupa da Savonarola il ministro dimissionario in quota NCD, e intanto intimamente gongola.

A questo punto, anzi, qualche ingenuo potrebbe perfino credere che Matteo da Pontassieve sia davvero sconcertato su quanto si è appreso riguardo a Lupi e che non possa tollerare in seno al suo governo o nelle sue dirette vicinanze nessuno che possa essere anche solo chiacchierato…In fondo la storia è nota, la moglie di Cesare non può essere sfiorata nemmeno dal sospetto. Ma allora, come si giustificano altre storielle che forse dovrebbero scandalizzare ben di più? Vogliamo accennare almeno a due di esse?

Cominciamo con l’affare Banca Etruria, quello che vede “coinvolta” (notare, rigorosamente tra virgolette) la deliziosa ministra Boschi, colei che da quando è apparsa nella vita degli italiani è stata decantata da chiunque come la più bella, la più fantastica, la più preparata, la più intelligente, la più di classe, la più adorabile… insomma “la più!”. Si tratta di quel fattarello legato al decreto Investment Compact grazie al quale, probabilmente in seguito a una fuga di notizie che chissà mai da dove è arrivata, ha permesso a qualche manina all’interno dell’Istituto aretino ormai commissariato, di veder balzare le azioni di un ben 54%, con un clamoroso inside trading di ignoti che metà ne basta.

All’epoca saltò subito agli occhi che una fuga di notizie sull’Investment Compact che permetteva la trasformazione di alcune banche popolari in società per azioni, poteva trasformarsi in oro nelle mani di chi operava in queste banche e il fatto che il padre della Boschi fosse vice-presidente di Banca Etruria in quel periodo, e che il fratello della ministra fosse manager della banca stessa – di cui lei è anche piccola azionista con una quota francamente risibile – fece storcere la bocca a molti. Qualche grillino alzò la voce, qualche quotidiano – per la verità pochi e quasi tutti “sottovoce” – ne scrisse, ma nessuno a parte forse qualche deputato di Fratelli d’Italia o della Lega Nord, si permise di chiedere le dimissioni di Santa Maria Elena, la preferita dagli italiani, e non solo. Lei non perse nemmeno un decimo del tempo di Lupi a giustificarsi, per carità. Quando la Banca venne commissariata – colpevolmente troppo tardi – fece notare che dunque non c’erano favoritismi (!), e che comunque lei il giorno in cui si discusse del decreto, non era in Consiglio dei Ministri ma in Senato, e quindi… che ne poteva sapere, povera, cara, dolce contadinella… ehm… volevamo dire ministra?

Ma accantoniamo il dunque mai esistito caso Maria Elena Boschi, e diamo un’occhiatina a quello di Tiziano Renzi, niente meno che il papà del nostro “caro leader”. Riguardo a lui – e qui citiamo letteralmente perché a noi poveretti i “cari leader” ci spaventano e non vogliamo guai – scrisse Il Fatto Quotidiano:

“A saldare i debiti del padre ci pensa il governo del figlio. Debiti, tra l’altro, concessi da una banca guidata da un fedelissimo del figlio, già in società con il fratello del cognato, a sua volta socio in un’altra azienda di famiglia riconducibile alla madre. Cose che capitano in casa Renzi. La vicenda è complessa e gli intrecci sono molti… "

L’articolo de Il Fatto racconta poi tutta una complessa storia di una società affidata per oltre 400mila euro da una banca condotta da un amico, con garanzie statali, e che alla fine, visto che le rate del mutuo sono state onorate per due anni e poi non più, a pagare suddetta garanzia siamo stati noi, o meglio, lo Stato con le nostre tasse ovviamente.

In conclusione all’articolo, c’è anche scritto:

“DONZELLI [candidato alla Regione Toscana del partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia ndr]assieme ad altri due consiglieri di minoranza, Paolo Marcheschi e Marina Staccioli, ha presentato un’interrogazione al governatore Rossi per chiedere spiegazioni. “Ci appare a dir poco indecente che i debiti creati dall’azienda di famiglia del premier siano stati pagati con soldi pubblici concessi in un momento in cui la crisi porta un imprenditore al suicidio ogni cinque giorni e in un Paese in cui l’accesso al credito è una delle maggiori difficoltà, insieme alla pressione fiscale, che riscontrano le aziende”, dice Donzelli…. [d.vecchi@ilfattoquotidiano.it-da il Fatto Quotidiano dell’8 gennaio 2015]

Ma del resto, aggiungiamo noi, a chi non è mai capitato di ottenere 400mila e passa euro da una banca senza garanzie? A tutti, più o meno, o no? Non pretenderete che Renzi oltre che per Lupi si scandalizzi anche per questo, che diamine!
 

 

Fonte: www.quotidianogiovanionline.i

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