La madre di Carlo Giuliani, Heidi, ha risposto alla mia lettera aperta: Lo ha fatto su un sito, Osservatorio Repressione, che certo non dava al suo pensiero la giusta visibilità, dunque io mi sono preso la lettera, l'ho pubblicata qui...dove è nato tutto...e mi sono permesso anche una succinta replica.
Gianni Fraschetti
Ora che l’Italia è stata condannata dall’Europa e nessuno può negare le violenze delle forze dell’ordine durante il G8 di Genova, c’è chi se la prende ancora con Carlo. A parte la signora Santanché, una vera ossessione la sua, che non perde occasione di indignarsi per un’ aula di Montecitorio che non esiste, altri continuano a dare notizie false o falsamente riportate.
Ieri, durante la bella festa per la Liberazione, un giovane amico mi ha chiesto se ero a conoscenza di una lettera piena di insulti indirizzata al padre di Carlo e diffusa tramite facebook e come intendevo reagire. Non l’avevo letta, naturalmente, non sono iscritta a fb: penso che sia uno splendido strumento di lavoro e di comunicazione per lo più usato male, in troppi casi utile solo come cassa di risonanza per chi è convinto di dovere pontificare su tutto. Spesso senza conoscere nulla. Comunque non è mia abitudine dare importanza alle affermazioni ignoranti dell’ennesimo sputasentenze. Così gli ho detto.
Tornando a casa però ho pensato che avevo torto: non mi interessa rispondere a una simile lettera, è vero, ma quel ragazzo e tante altre persone in buona fede che l’hanno letta hanno diritto a un chiarimento. Per questo motivo lo faccio qui, per chi fosse interessato:
– i genitori di Carlo sono separati di fatto da più di venti anni. Hanno discusso molto e animatamente in passato sull’educazione dei propri figli, come succede a molti genitori, e continuano a farlo anche su altri argomenti senza che questo impedisca loro rapporti civili e di collaborazione quando è necessario.
– la famiglia di Carlo ha sempre partecipato con passione alla vita sociale e politica del Paese senza usare mai il termine “nemico”, concetto che appartiene evidentemente ad altri;
– la famiglia di Carlo, qualche anno dopo la sua uccisione, ha querelato alcune persone che continuavano ad offenderlo gravemente ma non ha mai tenuto per sé i soldi delle cause vinte;
– i genitori di Carlo non hanno mai desiderato essere dei “protagonisti”
[ricordo per i più distratti che non sarebbero stati costretti a esporsi pubblicamente se:
1) l’ordine pubblico durante il G8 di Genova non fosse stato gestito nel modo pessimo che oggi nessuno può negare;
2) i manifestanti non fossero stati aggrediti, picchiati, insultati nei loro diritti;
3) un militare dall’interno di una camionetta non avesse armato e puntato una pistola;
4) Carlo non fosse stato colpito, prima da un proiettile poi da una sassata sulla fronte, e travolto due volte mentre era ancora vivo;
5) il suo caso non fosse stato archiviato dal GIP senza possibilità di dibattito in aula (cosa che ha influito gravemente sulle sentenze successive)]
– Carlo è stato fermato mentre andava alla festa di laurea di un suo amico e accusato di possedere una quantità di marjuhana “eccedente la dose personale” (un po’ diverso dal “traffico di stupefacenti”…);
– il coltello sequestrato era un temperino svizzero, regalo della madre;
– i rapporti tra i componenti della famiglia di Carlo appartengono alla sfera privata, sono noti a parenti e amici, che potrebbero tranquillamente smentire certe affermazioni di perfetti estranei, ma non hanno niente a che vedere con la sua uccisione;
– la famiglia non ha mai fatto mistero sul periodo difficile attraversato in precedenza da Carlo (e superato grazie alla sua volontà), ne abbiamo scritto in un paio di libri, lo canta Alloisio in una sua bella canzone, ma questo non ha niente a che vedere con la sua uccisione;
– la trascrizione delle intercettazioni è frutto di un lavoro taglia e cuci dei CC, teso a dimostrare che Carlo era un poco di buono e come tale era giusto ammazzarlo, ma non ha niente a che vedere con la sua uccisione.
Per finire, la famiglia di Carlo respinge al mittente certe pretestuose lezioni di dignità.
La madre di Carlo
Signora Haidi,
premesso che non ho nulla da spartire, sotto alcun punto di vista, con la Signora Santanchè, mi dispiace che lei riduca il tutto a una "... lettera piena di insulti indirizzata al padre di Carlo...". Io non ho insultato nessuno e, tante volte lo avessi fatto, bene farebbe il suo ex marito a querelarmi, così magari poi mi condannano e ci esce pure un risarcimento...hai visto mai.
Ciò premesso, lei dice, dice e dice nella sua replica, ma di fatto non dice nulla. Le sue spiegazioni girano intorno alla questione senza scalfirla e soprattutto tentano di ancorarsi e fare perno sui fatti di Piazza Alimonda che io non ho nemmeno sfiorato nella mia lettera. Le rammento comunque che io ho tributato a suo figlio Carlo il massimo degli onori possibili, quando ho affermato " o era un rivoluzionario, o era uno sbandato...", e che fosse uno sbandato -in ipotesi - lo si poteva desumere da questa frase che è uscita dalla sua bocca, gentile Signora Haidi, non dalla mia penna: «O aveva bevuto o era fatto in una maniera spaventosa, due occhi che non ti dico, come ai bei tempi...».
Io non me la sento certo di condannare suo figlio se si era fatto qualche spinello, e dunque gli ho lasciata aperta la possibilità di essere catalogato tra i giovani che vorrebbero cambiare le cose: i rivoluzionari, appunto.
Suo padre, il suo ex marito, invece, di possibilità al povero Carlo ne voleva lasciare ben poche, visto che dichiarava, parlando peraltro con lei, gentile Signora Haidi: «Speriamo di far presto un bel funerale».
Manifestazioni di affetto genitoriale? Non so, me lo dica lei, ci faccia capire se in questa bella famiglia, piena di passione civile, dove non si usava il termine "nemico", si voleva invece fare finalmente un bel funerale al figlio troppo "ribelle" per levarselo dalle scatole.
Lei non ha desiderato essere protagonista e suo marito nemmeno, no? Allora le racconto una vicenda di cui proprio in questi giorni ricorre l'ennesimo anniversario. la vicenda di un bravo ragazzo, Sergio Ramelli, morto dopo 47 giorni di agonia, con il cranio sfondato dalle Hazet 36 le micidiali chiavi inglesi con cui un branco di ragazzi più grandi di lui, studenti di medicina che sapevano bene cosa stavano facendo, lo colpirono fino a far fuoriuscire la materia cerebrale.
Ramelli morì in una maniera orribile, fu difficile anche fare il funerale che venne attaccato con bottiglie molotov e da allora, ogni anno, anche ricordare la sua morte provoca fastidio e ogni volta pare ci si debba preparare alla guerra . Anche Ramelli aveva un padre e una madre, eppure non si videro mai...parlarono poco e custodirono con dignità la memoria di questo figlio assassinato in una maniera così atroce. Nessuno divenne deputato e non ci furono aule del Senato intitolate alla memoria. E stiamo parlando di un omicidio volontario passato in giudicato.
Ciò detto, la lascio al suo coltellino svizzero e ai rapporti tra di voi noti a parenti e amici. Mi stia bene signora Haidi e mi saluti suo marito.