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Se tante volte uno si chiedesse che faccia abbia mai uno che è stato capace di scrivere sull'Espresso quel vero campionario di cinismo e falsità che ha ucciso Sergio Ramelli per la seconda volta, siamo in grado di levarvi il dubbio. Ecco a voi uno splendido primo piano di Michele Sasso, cui dedico poche sentite parole qui sotto.

                  

Caro Sasso,

Basta guardarti in faccia per capire con cosa abbiamo a che fare. E dico cosa, perchè francamente mi risulta difficile qualificarti come persona. Come essere umano. Non dopo quanto sei riuscito a scrivere. Non dopo avere misurato le matasse di pelo che hai sullo stomaco.

Infatti, secondo il tuo illuminato e libero pensiero - che attinge quale fonte "cristallina" a quel Saverio Ferrari, pregiudicato per reati contro la persona e creatore dell'Osservatorio per le nuove destre che ha quale unico scopo di vita schedare gente da additare ai vari "servizi d'ordine" - Sergio Ramelli “...non sarebbe però un martire” (l’hai scritto davvero! Testuale), poiché una foto del 12 aprile 1973 – il famoso “giovedì nero” in cui, in seguito a violenti tafferugli di piazza, perse la vita un agente di polizia – ritrarrebbe il ragazzo in piazza con i manifestanti.

A prescindere dalla veridicità del documento, garantita solo da voialtri due specchiati libertari, tale rivelazione, secondo te, renderebbe accettabile l'avere assassinato un ragazzino del Liceo aprendogli il cranio, in otto contro uno, a colpi di chiave inglese? A leggere quanto scrivi, parrebbe proprio di sì.

Caro Michele, se volevi mettere in mostra la tua parte peggiore, quella più maleodorante, ti garantisco che ci sei riuscito. Sei riuscito in una impresa non da poco. Fare schifo a tutti, indistintamente, da una parte e dall'altra.

Quindi, se mai un giorno, durante una delle tue "brillanti" e indimenticabili inchieste su migranti ed ecomafie, scritte con quel tuo inconfondibile stile, con quell'italiano così scintillante, un gruppo di tossici o di spacciatori, o magari di clandestini o di scafisti o di trafficanti d'armi, o forse di papponi sudamericani, o nigeriani, o rumeni o forse albanesi, sfonderà il cranio anche a te, e magari pure a quel rotolo di coppa rancida del tuo compagno di merende Ferrari, temo proprio che non riceverai grandi attestati di solidarietà e compassione.

Forse nemmeno dal tuo editore, che quanto a pelo sullo stomaco può tenere corsi universitari. Stanne pur tranquillo. Alla fine tutti penseremo che esiste una giustizia a questo mondo e andremo a dormire più sereni, molto più sereni sapendo che sei lì, in rianimazione, e magari qualche figlio di puttana spalancherà anche le finestre della tua camera per farti stare al freddo e provocare complicazioni polmonari. Fecero anche questo a Ramelli, e quando morì tutti i consiglieri comunali di sinistra di Milano si alzarono in piedi per applaudire. Ma questo non stava bene scriverlo, sarebbe stato troppo narrare la verità. Non è roba per un giornale come il tuo, per un editore come il tuo e per un "giornalista" come te.

In compenso ci voleva veramente stomaco per scrivere quello che hai scritto tu. Bravo, sicuramente non prenderai un Pulitzer ma stai tranquillo che ti sei guadagnato un posto d'onore nei pensieri di tanta gente. Pensieri che si uniranno in un unico desiderio. Forte. Incontenibile. La chiamano "Egregora", è una unità metafisica, chissà, magari ci scapperà un coccolone. Non è truculento come il cranio sfondato con fuoriuscita cerebrale ma ci accontenteremmo lo stesso.

Perchè vedi amico caro, io arrivo a comprendere e giustificare tutto. Anche i faziosi, anche i partigiani più sfacciati. In parte lo sono anche io, a volte, ma a tutto c'è un limite. Ci deve essere un limite, specialmente quando si ragiona intorno alla morte di un ragazzino massacrato in quel modo. E' un fatto di civiltà, e sciacalli e jene, oltre tutto puzzano di carogna e fanno veramente vomitare.

Gianni Fraschetti

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