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di Giulio Buffo -

 

Sul finire degli anni 70 in sezione c’era chi mi parlava di “unità generazionale contro il sistema”, mi spiegava che “nella mattanza tra rossi e neri, l’unico che ne usciva vincitore era il sistema di potere democristiano”, citava Drieu La Rochelle per spiegare che non esisteva un'alternativa di destra o di sinistra all'interno del sistema, esisteva solo il "sistema" con i suoi meccanismi che frantumano tutto, ai quali nulla resiste e che, per spezzare quelle logiche, era necessaria la fusione delle due opposizioni in un ideale unico. Un sogno che si realizzò solo nel fascismo.

Noi sognavamo su quelle parole, ma fuori da quelle stanze si faceva a sprangate con la realtà: dovevamo uscire incolumi da quella sede e rientrarci il giorno dopo; dovevamo andare a scuola, passare in mezzo ai picchetti, e uscirne; dovevamo tornare a casa controllando una a una le macchine parcheggiate davanti al portone; dovevamo convincere i genitori che fosse normale dormire con delle calze da donna piene di sabbia poggiate davanti alla porta di casa o con un estintore rubato non si sa dove, dietro il porta ombrelli.

Fuori da quella stanze anche i sogni di Gilles si dissolvevano e se volevamo fare almeno finta di esprimere un’idea, dovevamo adeguarci. Coraggio e paura, incoscienza e razionalità si fondevano, volantinando o schierati con i manici. Non tutto era bello, non tutto era eroico, non tutto merita di essere ricordato, eppure in quei militanti sparsi per l’Italia c’era qualcosa di unico e di diverso, reietti ma fieri, uniti, unici e già negli anni 80 parlavano, inascoltati, di “logica del superamento”. Se negli ultimi venti anni fosse andata al potere quella diversità probabilmente le cose sarebbero andate in modo diverso; si è rinunciato a quella fierezza per farsi accettare, alle sezioni per i salotti, all’intransigenza per i compromessi. Con la scusa di modernizzare il paese si sono preferite le infrastrutture alla scuola, gli affari alla cultura.

Comici si sono spacciati per filosofi, lecchini per oratori, attacchini per statisti. Chi “poteva” ha rinunciato a fare quell’opera di bonifica culturale per poter consegnare alla Storia il passato e liberare il presente dalle scorie di settanta e passa anni di guerra civile, così oggi ci ritroviamo ancora alle prese con i seminatori d’odio di professione.

I segnali sono evidenti, viaggiano di nuovo sul vento dell’antifascismo che tutto giustifica e tutto monda, partono dai novelli guerrieri Isis che vogliono abbattere obelischi a Roma o un piccolo fascio che riemerge dalle acque della darsena a Milano; passano per il fuoco che devasta librerie, sedi politiche e sindacali; attraversano gli anni con un anniversario di sconfitta che viene usato come una clava, con buona pace di anni spesi nella ricerca delle ragioni e delle verità dei vinti; è un antifascismo da tastiera che esalta e invoca la replica di piazzale Loreto “sei Fascista? Devi penzolare”; o un antifascismo miserabile e infame che, con la scusa dell’inchiesta giornalistica oltraggia il ricordo di un ragazzo massacrato, ne infanga il ricordo con la terribile frase “non era un martire”, ne giustifica l’omicidio e paragona il Presente in suo ricordo, ad “una lugubre parata stile Norimberga”.

Il tutto, dando credito a una fondazione e a un fantomatico osservatorio gestiti rispettivamente dagli ex responsabili del servizio d’ordine di Lotta Continua e di Autonomia Operaia, praticamente due gentiluomini. L’ultimo rivoluzionario scemo, in ordine di tempo, è un collaboratore del sindaco di Milano che rivendica ridendo soddisfatto e con tanto di foto, di aver strappato i manifesti che ricordano Sergio Ramelli.

Oggi quel ragazzino che in sezione ascoltava le parole di Drieu è cresciuto, ha imparato a distinguere tra chi merita – e dà – rispetto e le bestie, tra chi è comunista perché ci crede e chi è di sinistra per moda o perché conviene. Tra chi è onesto intellettualmente e chi è marcio dentro. E allora, per non ripetere gli errori e i drammi del passato, chi ha vissuto, subito, attraversato- nel bene e nel male - quegli anni, ha il dovere di non trasmettere un odio indiscriminato verso l’altra parte, evitando di generalizzare.

In questi giorni a sinistra, purtroppo, solo il silenzio è collettivo, ma la responsabilità di quello che sta accadendo ha nomi e cognomi: si chiama boldrini, pisapia, 99posse, sasso, de luca, ferrari, limonta ... e mille altri, ma sempre con un nome e cognome.
E’ una responsabilità individuale e come tale deve essere affrontata, sommergendoli di schifo, perché se ripartono i “giochi di mani e di villani”, il vecchio radicalismo corruttore di Drieu non subirà conseguenze, ma altri ragazzini si faranno male.

E non possiamo permetterlo.

Ma non volete rendervi conto di ciò che sta succedendo?
Questo Popolo non è morto, come credevamo dentro di noi; il nostro Popolo è uscito dal suo torpore. Questo Popolo, che ha abbandonato i villaggi e le chiese e che è venuto a chiudersi nelle fabbriche, negli uffici e nei cinema, non ha ancora perduto la fierezza del suo sangue. Ora che il furto e il sopruso trasudano, si affermano, gridano da ogni parte, non ha potuto più resistere ad un
richiamo così potente delle Erinni ed è sceso nelle piazze.
Ora tocca a voi, uomini politici,precipitarvi fuori davanti a lui.
Uscite dai vostri corridoi. I capi si mescolino fra di loro,
come hanno fatto i soldati. Perché i soldati, Clérence, si sono mescolati su quella piazza.
Ho visto i comunisti vicino agli uomini dell'estrema destra; li guardavano, li osservavano turbati con uno strano desiderio dipinto sul volto. Per un pelo non si sono incontrati, in un miscuglio
stridente, tutti gli ardori della Francia. Capisci, Clérence? Corri dai giovani comunisti, indica loro il nemico comune di tutti i giovani, il vecchio radicalismo corruttore..

Pierre Drieu La Rochelle - Gilles

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