di Gianni Fraschetti -
Alla fine sapete che vi dico ? Che come tutte le generazioni che ne hanno viste un bel po' alla fine toccherà anche a noi esclamare: "Si stava meglio quando si stava peggio".
Quando tutto finì li chiamarono "anni di piombo". Non so se si riferissero al materiale delle pallottole o al clima pesante che si respirava, o magari a tutti e due, ma di certo sarò forse cretino ma a me parvero anni straordinari. Avevo vent' anni e credevo. Credevo, come mai più ho creduto nella vita, in poche stupide cose e, parafrasando Brecht, avendo trovato tutti i posti occupati mi ero accomodato dalla parte che dicevano sbagliata, ma ero immensamente felice.
Credere ti fa sentire bene, in pace con te stesso e con il mondo intorno a te. Credevo, e più leggevo, più approfondivo e studiavo e più capivo che quella parte nella quale mi ero istintivamente collocato, in fondo, tanto sbagliata non era.
Con quegli altri, i compagni, quando non ci picchiavamo, riuscivamo anche a parlarci. Erano ragazzi come noi, e anche se soffrivano della sindrome del gregge, alla fine credevano anche loro in qualcosa e condividevamo con loro qualche ingenuo sogno. La speranza di una società più giusta, per esempio, ma i partiti e la società di allora, già ben instradate sulla strada che avrebbe condotto a oggi, crearono muri tra i giovani impossibili da abbattere e anche se eravamo simili sotto taluni aspetti ed entrambi cercavamo un mondo migliore, alla fine fu quasi fatale che fossimo obbligati a spaccarci la testa e ucciderci gli uni con gli altri.
Si credeva, si parlava e ci si batteva. Tumultuose assemblee dove le idee ribollivano come le acque impetuose di un fiume in piena e spesso e volentieri sfondavano gli argini, a volte anche quelli del buon senso. La vita sembrava, e in fondo era, una bella avventura e ognuno di noi, nel proprio intimo, era convinto di essere un cavaliere senza paura destinato a cambiare una società che arrancava stanca alle nostre spalle, o almeno così supponevamo. Sbagliando.
E forse eravamo veramente cavalieri, quando ci azzuffavamo per le strade, in uno contro venti, in scontri che piano piano persero qualsiasi assonanza con i ragazzi della via Pal per divenire feroci e senza quartiere e ci videro difendere con una spada ideale in pugno e il sorriso tra le labbra un mondo che amavamo più della nostra vita stessa e che sentivamo lentamente sfuggire dalle nostre mani come fosse sabbia. Un mondo fatto di onore, di lealtà, di coraggio, di determinazione, di altruismo. Un mondo che comunque era già in agonia e stava tirando le cuoia per fare posto a questo splendore che abbiamo sotto gli occhi e del quale, duole dirlo, i nostri avversari di allora furono le mosche cocchiere.
Essi furono gli antesignani del tutto uguale, della morte dei colori e del grigiore diffuso, dell'appiattimento e della cancellazione delle differenze. Furono la scellerata avanguardia culturale di quanto arrivò dopo. Pasolini, che aveva capito tutto, scrisse...l' adesione ai modelli culturali imposti dal centro è totale ed incondizionata. I modelli culturali reali sono stati rinnegati. L' abiura è compiuta...
La società globale e omologata era in celere cammino. Rimanevamo solo noi a ostacolarla. Noi, marchiati a fuoco dal peccato originale, ultimi figli di una colpa che non poteva essere mondata e non avrebbe mai conosciuto il perdono, una colpa che ci metteva all'indice, come proscritti, ma della quale andavamo fieri e ostentavamo con fare provocatorio.
C'era poca televisione allora, due miseri canali in bianco e nero. La comunicazione globale muoveva i primi passi e il pc, i telefonini e tutte le altre diavolerie che fanno parte oggi del nostro quotidiano erano ancora da venire. Leggevamo molto però, almeno noi. Eravamo affamati di nuove eresie da fare nostre e da aggiungere a quel peccato originale che tanto ci inorgogliva. Eresie per stupire ancora di più quella società borghese e conformista che tanto disprezzavamo. Eresie da innalzare come bandiere al vento, da gridare a squarciagola, da difendere con i pugni serrati, contro tutto e tutti.
Eravamo giovani ed eretici. Eravamo maledetti, ci piaceva esserlo e nella vita che ci eravamo imposti non vi era spazio per i politicanti, gli sfruttatori e gli arrivisti. I benpensanti e i moderati ci guardavano con paura e disgusto, i comunisti volevano la nostra pelle e qualche volta riuscivano anche a prendersela. Vivevamo circondati dall'odio e dal disprezzo di una società che ci rifiutava in quanto prova vivente che il peccato mortale nel quale la società italiana aveva vissuto per un lungo ventennio aveva prodotto i suoi frutti.
Eravamo i veri figli, in carne e ossa, di quel peccato, i frutti proibiti dell'amore incestuoso tra un capo e il suo popolo. Eravamo quelli nati dopo la guerra, noialtri, i figli del boom economico, e proprio in quanto nati dopo, avremmo dovuto essere come loro. Come tutti gli altri. Invece no, e per quante ne potessero dire e scrivere, noi eravamo la prova provata del loro schifoso tradimento,della loro miserabile vigliaccheria,della loro resa vergognosa e incondizionata e riuscivamo quasi a respirare la puzza della loro paura acida e dei loro cattivi sentimenti tanto erano tangibili al nostro apparire.
Oggi guardo questi qui, i giovani di ora, mi capita per strada o in televisione, e resto affascinato, quasi ipnotizzato da quanto vedo. Forse, anzi sicuramente non lo sono, ma sembrano terribilmente stupidi, dei perfetti imbecilli, calzati e vestiti, dei perfetti ignoranti. Privi di valori e di emozioni, senza la minima capacità espressiva, ossessionati da un unico desiderio che traspare chiaro da sguardi privi di quella luce che illumina coloro che hanno qualcosa da dire nella vita e che comunque lasceranno il segno del loro passaggio.
Questi non hanno da dire nulla e men che meno da dare. Inseguono tutti un sogno di lustrini e paillettes, tutti lo stesso, come poveri polli di batteria. Hanno risolto a loro modo leterno dilemma di Fromm..essere o avere. Questi qua, nella loro devastante pochezza, hanno trovato la geniale risposta. Apparire. E pur di apparire fanno di tutto, e sono disponibili a fare ancora di più.
Non hanno limiti etici. Gli ideali, i valori e tutta quella robaccia che negli anni di piombo tutti noi, da una parte e dall' altra, custodivamo gelosamente nel più sacro dei tabernacoli del nostro cuore, questi qua non sanno nemmeno che roba sia. Per apparire in televisione o in qualche discoteca non serve, è più utile il gel tra i capelli.
Sono i figli della modernità che così li ha voluti e plasmati e nessuno può essere così stupido da opporsi alla modernità. La nostra generazione fu segnata dalla guerra in Viet Nam, invece oggi, in nome della modernità, si tramutano guerre e disperazione in cumuli di denaro, ad Hanoi, ormai, accettano l' American Express e il Club Mediterranee ha costruito un villaggio vacanze vicino al palazzo imperiale di Bao Dai.
Anni di piombo? Che brutta espressione è stata usata per definire quel tempo. Fu l'ultima volta che la gioventà italiana ed europea credette in qualcosa e credette di poter cambiare qualcosa. Dopo di allora arrivarono i mille canali televisivi, Amici, il Grande Fratello, le veline ed i calciatori e tutto il circo equestre della globalizzazione, la luce negli occhi dei giovani si spense e venne sostituita da quell'espressione un po' così che vorrebbe essere seducente e paracula ma suscita solo una infinita compassione.
I veri anni di piombo non furono quelli di allora, temo proprio che siano quelli che stiamo vivendo adesso.