
(Carlo Bogside) – La società occidentale contemporanea assume sempre più i contorni del non-luogo. Non vi è ambito che sfugga a questo nuova Bibbia del pensiero destrutturante che vede l’uomo come un essere biologico che deve mutare la sua identità lavorativa, sessuale, nazionale e religiosa, a seconda delle necessità dettate dal politically correct. Basti pensare all’ambito del lavoro, ove oltre alla figura del lavoro precario che oramai è l’ultima frontiera delle assunzioni per i giovani e non solo, si assiste all’affermarsi del cosiddetto smartworking, cioè il lavoro svolto non più in un posto fisso e continuativo, ma in ogni dove e a ogni ora, avendo a disposizione telefoni e computer portatili forniti dall’azienda. Questo modo di lavorare ha le sue indubbie comodità per chi lo svolge, perché può anche essere eseguito non necessariamente nel tradizionale e noioso ufficio aziendale, con tanto di tavolo, computer, telefono ed eventuale pianta di ficus a corredo, dando evidentemente la sensazione di essere più liberi e soprattutto mobili. Ecco, la mobilità, è proprio il termine giusto per descrivere l’uomo contemporaneo, che liberato finalmente dai condizionamenti dati dagli aspetti tradizionali del suo vivere relazionale, può decidere come, quando e dove lavorare.
Tralasciamo volutamente gli aspetti problematici della questione, per soffermarci sul concetto espresso prima: mobilità, va bene, ma verso quale luogo? E’ bene fissare questo concetto, perché tutti abbiamo un luogo dove andare e soprattutto dove stare, ma tutto ciò sembra essere superato dalla perenne e faticosa ricerca dell’isola che non c’è. In questo senso, diventa importante come ci si sente, non quello che si è ontologicamente. Ergo, a livello sessuale, si può scegliere tra le quarantasei identità attualmente censite negli Usa come “gender” (numero in continua evoluzione) e cambiare le stesse più volte al giorno come si cambia vestito, a seconda del proprio umore. Non importa che ciò implichi un “uscire da sè stessi” per diventare “altro”. Anzi è proprio quello che va di moda. Allo stesso modo si può, ma in qualche caso come auspicato dai profeti del “non-luogo” Scalfari ed Augias, si deve, uscire dalla propria appartenenza etnica, di memoria condivisa, di usi e costumi tipici. Per diventare “meticci universali”, un nuovo prototipo umanoide che si sente meglio se assume su di sè una non-appartenenza, anche perché non gli è stato concesso di scegliere il posto in cui nascere, come direbbe Fazio.
I “pedagoghi” della nuova Religione, perché di questo si tratta, con i suoi dogmi, riti e celebrazioni, spingono l’acceleratore come nel caso della scrittrice Murgia che invita a parlare di “Matria” e non di Patria, concetto secondo lei obsoleto e aggressivo. Anche in questo caso utilizzando, in modo erroneo, la semantica per condurre verso il non-luogo. Anche Dio non sfugge alla regola e viene trascinato in un supermarket in cui ogni Dio è valido, basta sceglierselo, anche se questo vuol dire eliminare il Sacro dalla società e trascinarlo ancora una volta nel non-luogo, in modo che sia irraggiungibile. In quest’opera bisogna dire che Papa Bergoglio sta dando il suo contributo e non a caso è acclamato dagli Scalfari di turno, nella santa opera di destrutturazione dell’Europa che,nelle intenzioni dei profeti della nuova religione, dovrebbe trovare finalmente un luogo di approdo nel regno del meticciato errabondo e senza punti di riferimento certi.
Fonte: Il Primato Nazionale