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di A.D.GLa voce del corsaro -

Immaginate un uomo dallo scarso carisma, dall’irrilevante risolutezza, attaccato un giorno sì e un giorno no per il suo effimero decisionismo; un uomo dall’aspetto cariatideo e dal passo trascinato che a secondo dell’opportunità viene tirato per la giacca da qualsiasi schieramento politico. Immaginate anche che un bel giorno, quest’uomo, si risvegli dal suo letargico torpore e su una questione di fondamentale importanza e delicatezza, imponga la sua linea strategica e d’azione. Quest’uomo – se non l’avete ancora capito – è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano!

Infatti, quest’ultimo, ha dimostrato grande risolutezza nell’imporre la sua linea riguardo l’intervento nella “questione” libica. Il 19 marzo 2011 dichiara: “occorre un impegno che è necessario per la pace, per la solidarietà e per i diritti e la libertà dei popoli"; e poi continua: “la pace è ancora un obiettivo difficile; in Europa l’abbiamo costruita e consolidata, ma non è così nel resto del mondo".[1] Il 21 marzo chiarisce quale ruolo deve avere l’Italia all’interno  della “crisi” libica: “l'Italia è un membro importante della Comunità internazionale e della Alleanza atlantica e non può non dare il proprio contributo alla soluzione della crisi libica; il nostro Paese non può sottrarsi alle sue responsabilità".[2] Parole sagge, dalle quali si intuisce il grande senso della solidarietà, della pace e della giustizia per i popoli che il nostro Presidente possiede. Egli prende ad esempio la consolidata pace democratica europea, da esportare nei luoghi del mondo dove ancora non c’è.

Ma vediamo, secondo il nostro caro Giorgio, in Europa e in buona parte del mondo, cosa ha consolidato la pace nel passato più o meno recente.

E’ il novembre 1956, Giorgio è un giovane dirigente del Partito Comunista Italiano, e all’indomani della repressione della “rivoluzione ungherese”, da parte delle truppe sovietiche, che portò alla morte di quasi 3000 ungheresi, l’odierno Presidente tuonò: “l’intervento sovietico ha evitato che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e ha impedito che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, contribuendo in maniera decisiva a salvare la pace nel mondo”.[3] Ora, sembrerà chiaro che secondo la visione “guerrafondaiopacifista di Giorgio, la pace e la democrazia si esportano solo con le bombe che piovono dal cielo o con i carro armati che entrano nelle città. Naturalmente, questa visione, si allinea perfettamente con le linee guida delle “comunità internazionali” delle quali Giorgio di volta in volta fa parte o si sente idealmente affine, indistintamente per l’URSS e per la NATO. Detto ciò, mi sembra necessario parlare della storia politica e personale di Napolitano, per capire davvero chi è “l’anonima” e mite figura che siede nelle stanze del Quirinale.

Giorgio aderisce giovanissimo al Partito Comunista nel 1945, e viene eletto per la prima volta alla Camera nel 1953. Svolge durante gli anni ’60 diversi incarichi all’interno della direzione nazionale del partito, ed assumerà maggiore prestigio negli anni ’70 quando sarà responsabile della politica economica del partito.[4] E’ proprio durante gli anni ’70 che Napolitano diventerà una figura importante all’interno dei giochi politici e di potere (internazionali).

E’ il gennaio 1978, il Dipartimento di Stato americano comunica attraverso un “report” al Foreign Office che la nuova amministrazione USA è preoccupata per una probabile partecipazione del PCI al governo Andreotti, che proprio in quei giorni era entrato in crisi. Una delle soluzioni alla “questione” che venne presa in considerazione, fu quella di spaccare – tramite un’operazione segreta – il PCI, ma questa idea venne scartata e accantonata. Fatto sta, che nel marzo del 1978, con il rapimento di Aldo Moro, che stava preparando un esecutivo con i comunisti, l’idea di un governo col PCI venne definitivamente accantonata.[5] Nell’aprile dello stesso anno scende in campo il nostro caro e amato Presidente. Infatti, in quel periodo, fu il primo comunista italiano ad ottenere il visto per poter entrare negli Stati Uniti, allo scopo di presenziare a importanti “conferenze”. Il tour di conferenze (di facciata) di Giorgio, comprendeva alcune delle più importanti università americane: Princeton, Harvard, Yale, Georgetown e John Hopkins University, ma il vero e proprio “meeting” riservato dagli americani per Napolitano era al “Council on Foreign Relations”.[6]

Il Council on Foreign Relations è uno degli organi più rappresentativi della politica estera americana; esso è sostenuto da fondazioni economiche internazionali e da privati facoltosi, e agisce come un organo di studio di“strategie globali”, che divengono molto spesso direttive di politica internazionale per il governo americano. Tra i suoi finanziatori troviamo alcuni dei maggiori gruppi economici a livello globale, e cioè: American Express, American Security Bank, Cargill Inc., Chase Manhattan Bank, Coca Cola, Exxon Corp., General Electric Foundation, ecc.[7]

E’ proprio al Council on Foreign Relations che la visita negli States di Napolitano raggiunge il suo apice. Davanti ad una platea composta da grandi avvocati, banchieri e dirigenti industriali di portata internazionale, Giorgio inizia il suo discorso affermando che: “Il Pci non si oppone più alla Nato come negli anni Sessanta, mentre lo scopo comune è quello di superare la crisi, e creare maggiore stabilità in Italia». Il suo discorso continuò ricordando alla platea le mozioni unitarie votate in Parlamento da Pci e Dc nell’autunno del ’77 sul rafforzamento della Comunità europea, sul contributo comune da dare per la distensione, la riduzione degli armamenti, e la piena attuazione dell’Atto di Helsinki. In conclusione parlò di economia italiana e internazionale. Tutto il suo discorso fu accompagnato dal beneplacito della platea, che vedeva in lui “l’uomo giusto” da tenere all’interno del PCI.[8] Infatti, grazie a “George”, gli americani finalmente trovarono il contatto ideale all’interno del Partito Comunista. Gli States erano alla ricerca di contatti all’interno del PCI già dal 1969, e nel 1975 anche l’intelligencestatunitense si mise alla ricerca di qualche “interlocutore privilegiato”, secondo quanto afferma il “rapporto Boies”, per il crescente timore di una vittoria dei Comunisti in Italia.[9]

Ritornato in Italia, Napolitano insieme ai “moderati” del PCI, come Amendola, Lama, Bufalini e Macaluso fonderà una corrente interna al Partito Comunista, detta “migliorista”. Questa corrente ebbe da subito, all’interno del partito, una certa influenza, e su molti aspetti pesarono le loro prese di posizione contro la linea portata avanti dal segretario Berlinguer. I miglioristi guardavano con buon occhio alle socialdemocrazie europee, mentre Berlinguer teorizzava la “terza via”, una via capace di andare al di là del capitalismo e della socialdemocrazia; ma solo su un punto i miglioristi furono d’accordo con Berlinguer, e cioè sulllo “strappo” da Mosca.[10] Quindi, in maniera subdola e più celata, il progetto di “spaccare” in due il PCI formalmente riuscì. Grazie a questa corrente, il Partito Comunista abbandonò sempre più celermente le “anacronistiche” posizioni rivoluzionarie e filosovietiche, per sposare la causa della NATO e dell’eurocomunismo. Fu grazie a questo spostamento dell’asset politico del PCI che si arrivò al dibattito degli ultimi anni ’80, che porterà allo scioglimento del Partito Comunista e alla formazione del Partito Democratico della Sinistra nel 1991. In questa fase storica e politica, gli interlocutori numero uno degli interessi statunitensi in Italia furono, paradossalmente, proprio gli ex PCI.

Ritornando a Napolitano, nel 1992 viene eletto Presidente della Camera dei Deputati, e nel ‘96 sarà Ministro dell’Interno nel governo Prodi. Nel 2006 la sua carriera arriva all’apice, infatti, il 10 maggio sarà eletto Presidente della Repubblica.[11] Ed è con il grande gaudio degli americani, per la sua elezione alla presidenza della Repubblica, che nel 2007 George ritorna in America, di nuovo al “Council on Foreign Relations”, dopo 29 anni dalla sua ultima apparizione. Il suo discorso verterà sull’economia italiana, e specialmente su due temi:

Scommesse per il futuro: “possiamo scommettere sull'Italia, sulle sue tradizioni storiche e sui suoi spiriti animali; spiriti animali è un riferimento alla vitalità italiana, agli spiriti animali del capitalismo di cui parlava Keynes”.

Rinnovamento dell’economia: “In Italia abbiamo bisogno di una liberalizzazione, che in passato non è stata abbastanza significativa… non per ragioni ideologiche… ma per una serie di interessi privati, di corporazioni, che resistono con molta forza a qualsiasi cambiamento che possa colpire i loro privilegi".[12]

Ora è tutto più chiaro, se negli anni ’70 – ’80 un “interlocutore privilegiato” come Napolitano, poteva servire a tenere a bada alcune istanze del Partito Comunista, ora che il pericolo “rosso” è svanito il nostro caro George può divenire con tranquillità il portavoce della politica economica americana in Italia. 

Da alcuni “report” del 2009 recapitati alla Segreteria di Stato americana dall’ambasciata USA in Italia, si identifica Napolitano come l’unico interlocutore possibile nella “frastagliata” politica italiana e si elogia la sua figura: “un moderato, europeista e con un forte legame Transatlantico, è serio, un intellettuale, un’eminenza grigia. Un punto di riferimento morale nell’arena politica spesso frastagliataUn interlocutore privilegiato”. Non mancano le accuse all’immobilismo del governo sulle “riforme” economiche, e ancora elogi all’intraprendenza del fido George: “quando Napolitano spinge a favore di “riforme economiche internazionali” per affrontare la crisi globale dell’economia, il governo italiano offre uno stimolo modesto alla crescita”. Poi sulla politica estera italiana: “il governo italiano qualche volta è stato un giocatore riluttante, ma Napolitano non rinuncia ai suoi principi, avendo collocato l’Italia nel ruolo di miglior amico di Israele in Europa”.[13]

Quindi non bisogna stupirsi del totale e disarmante asservimento del Presidente George alle direttive d’oltreoceano; la missione in Libia è solo il naturale evolversi dei rapporti che contraddistinguono il nostro Paese con gli amici a stelle e strisce. Non bisogna neanche stupirsi che nelle odierne politiche antinazionali, dove i poteri vengono sempre di più  demandati ad “entità” ed organismi sovranazionali, uomini come Giorgino, dalla personalità quasi inesistente, riescano ad avere così tanti consensi fuori dai propri confini. Riesce difficile comprendere, comunque, come l’opinione pubblica possa scagliarsi contro l’ambiguità palese di quest’uomo, solo nelle questioni di mera importanza, per “firme” messe o non messe su leggine di poco conto e rilevanza per la vita delle persone. Nessuno ha aperto gli occhi sulla vera natura dell’uomo Giorgio Napolitano, un uomo che ha giocato da sempre nei balletti politici internazionali che hanno interessato il nostro Paese, defraudandoci della nostra sovranità, sempre alla mercé dei poteri economici e finanziari. Per questo, diffidiamo dalle belle parole enfatizzate dai giornali “compiacenti”, di questi uomini che parlano di libertà, pace, giustizia e altre amenità simili; l’unica certezza è che le azioni di questi “grandi” uomini, da Giorgino in poi, non sono certamente eseguite per il “nostro interesse”, ma per gli interessi che hanno da sempre condizionato, in maniera fraudolenta, la vita del nostro Paese.

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