di Paolo Signorelli -
Il Tribunale di Livorno riapre la questione del saluto romano allo stadio. La Cassazione, lo scorso settembre, aveva condannato due attivisti di Casapound che avevano teso il braccio durante una cerimonia sulle vittime delle Foibe.I giudici della città toscana, invece, come riporta il “Tempo”, hanno appena assolto quattro tifosi del Verona, finiti sotto processo per aver salutato romanamente (era il 3 dicembre 2011) nella partita contro gli storici rivali, calcistici ma soprattutto politici, del Livorno
Una contrapposizione marcata quella delle due curve: “camerati” gli scaligeri, “compagni” gli amaranto. Ed è proprio su questo che hanno puntato i giudici. Perché i livornesi possono fare il pugno chiuso in segno di sfida e i veronesi non possono rispondere col braccio teso? E quel giorno la curva del club toscano intonò per tutti i 90 minuti “Bella ciao” alzando il braccio sinistro e i gialloblu risposero a modo loro, cantando “Faccetta Nera” e scandendo “Boia chi molla è il grido di battaglia”.
Giusto e anche logico ragionare così, d’altronde siamo in democrazia. Anche se la situazione resta poco chiara. E, visto la recente condanna per i due giovani attivisti di Casapound, viene spontaneo domandarsi: allo stadio si può fare e in manifestazioni politiche no? Per risolvere la questione e mettere tutti d’accordo ci sarà ancora molto da lavorare. Magari con una pronuncia della Cassazione a sezioni unite, l’unica in grado di fare giurisprudenza.
Ma intanto, per i nostalgici del Duce, è già una grande vittoria quella ottenuta dai sostenitori del Verona. E la cosa più sorprendente è che a dare giustizia ai quattro “fascisti cattivi” siano stati i giudici di Livorno, una città appunto ostile per colori e fede politica. D’altronde c’è sempre un’eccezione che conferma la regola…
Fonte: L'ultima ribattuta
L'apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione. Trattasi non di una istigazione diretta, perché questa è configurata nell'art. 2 della legge 1952, bensì di una istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente.