
Riepilogo a scanso di equivoci, che comunque verranno alimentati in mala fede Avevo già espresso la mia posizione in merito, so che si deve chiarirla costantemente perché, complice una certa dose di malafede intellettuale, i posizionamenti vengono stravolti con disinvoltura da chi ama le scorciatoie per non affaticarsi troppo il cervello. Riepilogo: - Siamo in piena decadenza di civiltà e in piena implosione della società. - La società che implode, non solo non è l'equivalente della civiltà ma, anzi, è uno dei principali agenti della decadenza. - Non si difende la civiltà, e men che meno la si rigenera, aggrappandosi ai “valori sicuri” di una società corrosa, ivi compresa la famiglia di oggi che mi pare un'ottima scelta chiamare “family”. - Al contempo non si fonda una nuova società – ma soltanto un demenziale laboratorio di città dei balocchi – senza attenersi ai criteri di fondo, anche linguistici di ogni cosa. Questi criteri sono saltati completamente, confusi quando non sovvertiti, e anziché su princìpi (che non sono i cangianti “valori” di cui si straparla) ci si confronta su ipotesi, anziché su archetipi su convinzioni che, in quanto relative, sono intolleranti nei confronti di chiunque non sia accecato dallo stesso fanatismo sciocco. E questo vale per tutti gli schieramenti-gregge senza esclusione.
Matrimonio, family, famiglia e altro Il “matrimonio” religioso compete alla Chiesa, quello civile invece è un contratto fondato sulla riproduzione biologica che consente anche la riproduzione dell'intero corpus nazionale, cultura compresa. Il concubinaggio, con i diritti che la tolleranza indoeuropea gli ha riconosciuto, è un'altra cosa. L'unione gay, dal punto di vista del criterio e del linguaggio, ha senso nell'equiparazione del concubinaggio. Non lo definirei quindi matrimonio ma unione civile. Tuttavia, perché questa obiezione fosse mossa, bisognerebbe che i matrimoni odierni non fossero, come invece sono, dei concubinaggi legalizzati in cui gli individui deboli e insicuri della nostra epoca cercano reciproco sostegno morale ed economico nella nevrosi e fanno figli che amano ed educano all'italiana, come barboncini o cagnolini da grembo da viziare e pascere come bamboccioni. Servirebbe quindi che la famiglia non fosse un surrogato, appunto la “family”, ma un luogo di responsabilità patriarcale, legato alla stirpe, al clan, alla nazione e dedicato all'eroismo. Ciò non è tranne alcune eccezioni, che non dipendono dal “valore” della famiglia che non esiste a meno di pretendere di scambiare il caldo della tana con un valore superiore, ma solo da alcuni dei suoi componenti che sono individui ancora normali, quindi, oggi, eccezionali in quanto fanno eccezione. In mancanza della famiglia e in presenza della “family” che la scimmiotta, ci troviamo nel pieno relativismo dei termini e dei concetti che, in quanto relativi, vengono assolutizzati con la veemenza degli insicuri e diventano dunque dogmi. Siamo quindi rinchiusi in un circolo vizioso anche piuttosto lezioso.