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(Mary Pace* - Il Borghese) - NEL continente europeo, i Balcani occidentali rappresentano, riguardo agli odierni assetti geopolitici, una macroregione strategicamente rilevante. Tale area, infatti, non risulta totalmente integrata nell’apparato della NATO, oltre ad essere ritenuta di assoluto interesse per la Russia, in funzione di avamposto alleato verso ovest e di sbocco sul Mar Mediterraneo. Non ancora membri dell’Alleanza Atlantica sono la Serbia, il Montenegro e la Macedonia. Questi Stati sono caratterizzati da ben precise similitudini. Essi sono slavi, ortodossi e, sebbene in misura molto difforme tra loro, legati a Mosca.

Di sicuro, il più importante dei suddetti Paesi, e vero cuore dei Balcani, è costituito dalla Serbia. In seguito alla dissoluzione della Jugoslavia, nel 1992 la Serbia ed il Montenegro costituirono la Repubblica Federale di Jugoslavia, che, nel 2003, diventò Unione Statale di Serbia e Montenegro. Nel 2006, il Montenegro sancì la propria autonomia. Nel medesimo anno, mediante referendum costituzionale, la Serbia dispose l’inalienabilità del Kosovo. Tuttavia, l’anzidetto Kosovo ha dichiarato, unilateralmente, la propria indipendenza nel 2008, che, a tutt’oggi, non è stata riconosciuta da Belgrado, come pure da Russia, Romania e Bosnia.

La Serbia fu vittima di un’illecita e infausta guerra di aggressione, perpetrata dalla NATO. Adducendo, quale pretesto, l’obiettivo di evitare una «catastrofe umanitaria» in Kosovo, il «democratico» Occidente diede inizio ai bombardamenti in data 24 marzo 1999, i quali si sono protratti per ben 78 giorni. Si trattava della prima volta, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, che un Paese dell’Europa fosse oggetto di pesanti incursioni, da parte delle Forze Armate di una coalizione. Si riscontra il decisivo apporto dell’Italia, il cui Governo, presieduto dall’ex PCI Massimo D’Alema, autorizzò i caccia NATO a decollare dalla base di Aviano.

I veri obiettivi perseguiti, tramite l’aggressione alla Serbia, erano ovviamente altri. Innanzi tutto, con il crollo di un mondo ormai obsoleto, manifestatosi mediante la dissoluzione dell’Unione Sovietica e l’unificazione della Germania, si rendeva necessario, per l’Occidente anglo-sassone, disgregare il modello jugoslavo, caratterizzato da autonomia e neutralità, al fine di istituirvi il «libero mercato». Invece, i noti centri di potere dell’alta finanza, ossia Washington, Londra e Bruxelles, condannarono, come «dittatore», il Presidente serbo Slobodan Milosevic, esclusivamente per il fatto che quest’ultimo avesse nettamente avversato la riforma del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, di fatto ostacolando il «libero scambio». Alquanto significativo che, già nel 1992, il Congresso degli Stati Uniti si fosse espresso nei termini di un manifesto appoggio a favore della minoranza albanese presente nel Kosovo, preannunciando pertanto un intervento governativo in detta «regione autonoma».

Comunque, come da consueta e deplorevole prassi statunitense, lo specifico casus belli fu pianificato e attuato minuziosamente, traducendolo da un fatto pienamente legittimo. La storiografia ufficiale, infatti, è concorde nell’individuare il cosiddetto «massacro di Racak», occorso il 15 gennaio 1999, quale evento scatenante la reazione armata della NATO. Quell’episodio si concretò semplicemente in una normale azione offensiva condotta dalle Truppe di Belgrado all’interno di Racak, un villaggio in cui si rintanavano guerriglieri, elementi ostili. Tuttavia, al loro arrivo, le Forze Armate serbe trovarono i cadaveri sparsi di 45 albanesi, che erano appartenuti all’Esercito di Liberazione del Kosovo, UCK, di fatto un’organizzazione paramilitare e terroristica kosovaro-albanese. I suddetti corpi furono intenzionalmente vestiti in modo tale che sembrassero dei poveri ed indifesi contadini albanesi, i quali, pertanto, all’opinione pubblica internazionale apparvero come vittime di un efferato ed ingiustificato eccidio.

Nell’attuazione dell’anzidetta montatura, determinante fu il contributo apportato dagli Osservatori dell’OSCE, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, e soprattutto dal relativo capo missione, lo statunitense William Walker, un uomo di Washington, abituato ad «operazioni clandestine», che in passato aveva infatti partecipato attivamente alla guerra sporca in America Latina, ossia in El Salvador e Nicaragua. Ovviamente, quello non fu il primo caso, e non sarebbe stato nemmeno l’ultimo, di illegittima ingerenza degli USA in affari interni di altre Nazioni, mediante l’impiego di propri collaboratori. Il 6 febbraio 1999, a Rambouillet, Parigi, fu istituita una Conferenza internazionale al fine di negoziare un accordo di pace, preparato dalle potenze Occidentali e la Russia, tra i rappresentanti del Governo serbo e la delegazione albanese del Kosovo.

Il Consigliere Speciale di tali separatisti albanesi era, infatti, Morton Abramowitz, uomo del Dipartimento di Stato USA, anch’egli esperto di operazioni clandestine e che, durante la guerra dei Sovietici in Afghanistan, si occupò di fornire i missili terra-aria Stinger ai mujaheddin. Comunque, soltanto dopo i 78 giorni di pesanti bombardamenti aerei, ovvero in data 9 giugno 1999, i Serbi avrebbero aderito al suddetto accordo, sottoscrivendolo con la NATO a Kumanovo, in Macedonia. I patti prevedevano l’ingresso nella regione delle Forze militari di pace KFOR. Inoltre Belgrado aveva accettato la Risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, la quale sanciva che il Kosovo restasse alla Serbia, sebbene con ampia autonomia.

Attraverso l’operazione dell’Alleanza Atlantica contro la Serbia, denominata «Allied Force», furono condotte circa 38 mila incursioni. Eppure i bombardamenti si rivelarono poco efficaci contro le Forze Armate di Belgrado. L’Esercito e la Milizia serbe evacuarono le rispettive Caserme, per suddividersi in Unità dalle ridotte dimensioni e ad alta mobilità, mentre la Difesa Antiaerea aveva cagionato non poche difficoltà ai velivoli della NATO. L’Armata Serba riscontrò quindi poche vittime, ritirandosi dal Kosovo, dopo gli accordi di pace, con quasi tutto il proprio materiale bellico.

Purtroppo, fu l’innocente ed indifesa popolazione civile, invece, a patire il maggior numero di morti, con annesse sofferenze. Si contarono almeno 3.500 caduti. Ciò nonostante, ci preme rilevare come il Popolo serbo si sia sempre contraddistinto, in modo indefettibile, per dignità, fierezza e coraggio. Seppure i bombardamenti fossero in atto, noncuranti dell’estremo pericolo, proprio per sfidare la sorte e per dimostrare al nemico, ovvero la NATO, quanto fossero criminali i propri attacchi, i serbi, piuttosto che trovare riparo nei rifugi, erano soliti ritrovarsi nella zona centrale di Belgrado, dove ballavano e cantavano. Una condotta a dir poco eroica! Proprio tra quei serbi, vi era anche l’attore Bekim Fehmiu, noto agli italiani per l’interpretazione di Ulisse nello sceneggiato tratto dall’Odissea di Omero e per aver lavorato con celebrità del cinema mondiale, al quale eravamo legati da una sincera amicizia. Il 15 giugno 2010, a 74 anni, Bekim Fehmiu fu trovato morto nel suo appartamento di Belgrado. Si era ucciso con un colpo di pistola. Era ammalato da tempo, ormai, per una grave forma tumorale, cagionata dall’utilizzo dell’uranio impoverito, durante i bombardamenti della NATO sulla Serbia.

L’uranio impoverito, Depleted Uranium, deriva dal materiale di scarto delle centrali nucleari ed è impiegato per fini bellici, per il suo alto peso specifico e la sua capacità di perforazione. Infatti, un proiettile al DU, quando colpisce un bunker o un carro armato, vi entra senza incontrare alcuna resistenza. Tuttavia, alla sua esplosione ad altissima temperatura, esso rilascia nano-particelle di metalli pesanti nell’ambiente circostante. Ad oggi, la ricerca scientifica ha confermato come detti proiettili siano assolutamente nocivi, sia per la radioattività emanata, sia per la polvere tossica rilasciata, pertanto causa di letali patologie tumorali.

Ebbene, risulta del tutto doveroso evidenziare che la NATO, durante i famosi 78 giorni di bombardamenti sulla Serbia, fece largo uso dei suddetti proiettili all’uranio impoverito, a causa dei quali si verificarono migliaia e migliaia di decessi tra i civili. Metà popolazione serba si ammalò di gravi tumori maligni e fu purtroppo decimata. Oltre a tutto, il Governo di Belgrado era sprovvisto delle necessarie risorse, anche finanziarie, per approntare le opportune terapie mediche. Tali drammatici dati, peraltro, ci sono stati personalmente riferiti dalla Dott.ssa Sanda Raskovic Ivic, già Ambasciatrice della Serbia in Italia nel periodo 2008-2011, attualmente Presidente del Partito Democratico di Serbia.

È altresì imperativo rilevare la premeditata perfidia criminale degli USA, durante i suddetti bombardamenti NATO sulla Serbia. Washington era perfettamente consapevole dei nocivi effetti sulla salute, cagionati dai proiettili all’uranio impoverito. Tanto è vero che questo letale munizionamento non fu usato, quando l’Alleanza Atlantica bersagliò la zona del Kosovo presso Urosevac, dove, dal giugno 1999, firmati i trattati di pace, gli USA vi realizzarono Camp Bondsteel, una propria base militare. In sostanza, tale struttura, oltre ad essere posizionata in un punto altamente strategico per le attività di Intelligence, doveva trovarsi in un’area sana per i militari statunitensi. Peccato che tale trattamento «privilegiato» non fu riservato a quelle zone che sarebbero state di competenza delle Forze Armate di altri membri NATO, come l’Italia, con i suoi Soldati e Carabinieri, i quali furono costretti ad operare su territori contaminati dai proiettili all’uranio impoverito, usati dalla medesima Alleanza Atlantica.

Teniamo, altresì, a precisare quanto segue. Per evidenti ragioni, abbiamo continuato ad usare il termine «Kosovo», poiché ampiamente diffuso. Tuttavia, tale accezione, popolare soprattutto in Occidente, è alquanto denigratoria nei confronti del Popolo serbo, in quanto irrispettosa della sua sovranità. L’esatta denominazione di detta provincia serba è «Kosovo e Metohija», oppure «Kosmet». Metà del Kosmet coincide con la provincia di Metohija, che, tradotto, significa «proprietà dei Monasteri serbi ortodossi». Quella terra appartiene, fin dal Primo Medioevo, a tali Monasteri serbi, i quali sono stati oggetto di distruzione, dopo la fine dei bombardamenti NATO, da parte degli «schipetari», ossia gli albanesi residenti nel Kosmet. Detti terroristi hanno anche espulso più di 250 mila serbi.

A oggi, Belgrado e Mosca sono particolarmente unite, sotto più profili strategici. Il Premier serbo Aleksandar Vucic, che lo scorso ottobre 2015 ha visitato la capitale russa, ha asserito che la Serbia si annovera tra quei pochi Paesi a non aver aderito alle sanzioni imposte dall’Occidente contro la medesima Mosca, a dimostrazione dei proficui rapporti che legano le due Nazioni, di tipo non soltanto economico e militare, ma anche in ambito prettamente geopolitico. D’altronde, il presidente Putin ha sempre sostenuto la vicinanza tra i due popoli e, soprattutto, non ha mai riconosciuto il Kosovo come Stato indipendente.

Il suddetto scenario costituisce un serio ostacolo, al conseguimento dei propri obiettivi strategici, da parte della NATO e degli USA. Giustappunto, due precisi fenomeni si sono verificati e sviluppati nei Balcani. Stando ai dati ufficiali di novembre 2015, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha stimato in 640 mila circa il numero di migranti, i quali, dall’inizio del medesimo 2015, sono entrati in Europa oltrepassando il confine turco-greco, in direzione dei Balcani, con l’obiettivo finale di raggiungere la Germania o la Svezia. Si tratta della più grave crisi di rifugiati dalla Seconda Guerra Mondiale. Il secondo fenomeno è rappresentato dall’emergenza jihadista, con la presenza di almeno una ventina di cellule terroristiche attive nei Balcani, operative nel reclutamento ed addestramento dei cosiddetti foreign fighters.

Tali strutture, collegate all’ISIS, o Daesh, e che possono contare su circa 5 mila combattenti, si ispirano, ovviamente, all’integralismo dottrinale più intransigente, di matrice Salafita e Wahhabita. Ebbene, in considerazione del fatto che lo Stato Islamico non sia altro che un’organizzazione terroristica creata, addestrata ed armata dagli USA, con i finanziamenti di Arabia Saudita e Qatar, la «guerra santa» è stata introdotta nei Balcani ed usata in modo strumentale, per intimorire quei Paesi, come la Serbia ed il Montenegro, che non si piegano alla NATO.

 

Mary Pace*: è stata agente operativo del SIFAR, del SID e infine del SISMI, attualmente giornalista e scrittrice

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