
(Informare) - I colori hanno, a titolo simbolico, un «valore tri¬partito». Presso gli Indo-europei, in effetti, si ritrova un insieme tri¬colore costante, associante il bianco, (sovranità), il rosso (forza) ed il nero od il blu (fecondità). Al riguardo, Jan de Vries aveva pubbli¬cato nel 1942 un importante articolo, Rood, wit, zwart («Vblkskun¬de», vol. II, pp. 1-10), riassunto ed in parte tradotto da Dumézil nel¬la «Revue d'histoire des religions» (vol. CXXXI, 1946, pp. 57-60), in cui egli forniva un gran numero di esempi. Citava in particolare i tre galli (bianco, rosso e nero) che si incontrano in alcune ballate popolari, dalla Scandinavia fino all'Asia minore. Ora, precisa Dumézil, «i loro confratelli mitici delle strofe 42-43 del Vóluspk dell'Elda, annunciatori del crepuscolo degli dei, si distribuiscono distintamente tra i tre livelli del mondo: il gallo chiamato "pettine d'oro" (il suo colore non è indicato, ma Jean de Vrics ricorda che Heimdallr, definito "il più bianco degli dei", è anche soprannomina¬to "dente d'oro" e che il suo cavallo si chiama "criniera d'oro") ap¬partiene al mondo degli Asi, il gallo di un "bel colore rosso" (Fagraudhr) alla terra, il gallo di colore "rosso volpino" (Sotraudhr) al mondo infernale» (21ER, p. 46).
Nel mondo rodo-iraniano, i gruppi socio-funzionali (così come oggi le caste) sono anch'essi designati da un termine (in sanscrito varna, in avesti pishthra) che significa «colore». Tra gli Ittiti, si tro¬va un rituale d'evocatio «in cui i diversi dei della città nemica asse¬diata sono pregati di abbandonarla e di recarsi dall'assediante tramite tre strade (ciò che suppone tre categorie diverse di dei) coperti il pri¬mo di un panno bianco, il secondo di uno rosso, il terzo di uno blu» (ITIS, p. 26). V. Basanov, in una tesi sostenuta nel 1945 (Evocatio, étude d'un rituel militaire romain), è stato giustamente colpito dall'analogia che questo rituale ittita presenta «con il rituale romano per mezzo del quale erano evocate, guadagnate alla causa di Roma, la o le divinità prorettrici di un popolo nemico» (RIER, p. 45).
Tra i Certi della Gallia e dell'Irlanda, il bianco è il colore dei druidi, così come è quello dei bramani arya. Il rosso, nell'epopea ir¬landese, è riservato ai guerrieri, così come in India lo è ai kshatriya. Quanto alla terza classe, essa è, come sempre, caratterizzata in ma¬niera meno netta. Il nero (od il blu scuro) sembra tuttavia essere sta¬to il colore degli allevatori-agricoltori indiani (vaigya), prima di es¬sere sostituito dal giallo (in seguito alla creazione della casta infe¬riore ed eterogenea dei gúdra e del trasferimento del nero a suo van¬taggio).
«A Roma», scrive Georges Dumézil, «un albogalerus caratterizza il più sacerdote dei sacerdoti, il flamen dialis, mentre il paludamentum militare è rosso, come la bandiera sulla tenda del generale, come la trabea dei cavalieri o di quei sacerdoti armali che sono i Salii. Un sistema completo, di tre elementi, di simbolismo colorato si incontra (ancora) per due volte nelle istituzioni romane. Il caso piu’ interessante è quello dei colori delle fazioni del circo, che hanno assunto la grande importanza che si sa sotto l'impero e poi nella nuova Roma sul Bosforo, ma che sono sicuramente anteriori all'im¬pero e che gli esperti d'antichità romane, d'altronde, ricollegavano alle stesse origini e a Romolo; le speculazioni esplicative di questi esperti sono diverse e gravate di pseudo-filosofia e d'astrologia, ma una di esse, conservata da Giovanni Lido (De mens. IV, 30), non si riferisce che a delle realtà romane e dice che questi colori, che sono quattro in epoca storica, non sono stati da principio che tre (albati, russati, virides), in rapporto non soltanto con le divinità Giove, Marte e Venere (quest'ultima apparentemente sostituita a Flora), i cui valori funzionali (sovranità, guerra, fecondità) sono chiari, ma inoltre con le tre tribù primitive dei Ramnes, dei Luceres e dei Ti¬tienses, di cui si è in precedenza ricordato che erano, nella leggenda delle origini, tanto etniche (Latini, Etruschi, sabini) quanto funzio¬nali (formate rispettivamente da uomini sacri e da governanti, da guerrieri di professione, da ricchi pastori), e che d'altronde lo stesso Giovanni Lido, in un altro passo (De magistrat. I, 47), interpreta co¬me paralleli alle tribù funzionali degli Egiziani e degli Ateniesi anti¬chi » (ITIE, pp. 26-27).
Evidentemente, è molto difficile chiarire il problema dell'origine di questa triade di colori. D'altra parte, nota Dumézil, «non si man¬cherà di obiettare che i valori simbolici... che i nostri autori propon¬gono... sono di quelli che possono essere reinventati ovunque ed in ogni momento » (RIER, p. 56).
.«E' perfettamente vero», aggiunge. «Tanto vero che, dovunque gli utilizzatori indo-europci di colori simbolici si prendono la pena di spiegarceli, fanno riferimento a(certc) convenzioni: il rosso del vestito di Cuchulain o degli uomini di Marte è il sangue; il rosso del kshatriya è ancora il sangue o la passione; il giallo del vaigya è l'abituale mantello delle vacche che è sua funzione allevare; il bian¬co del bramano è la purezza ed il nero del ~udra rappresenta esatta¬mente il contrario... Ma, ammesso questo, si deve ugualmente am¬mettere che, per quanto naturale appaia l'uso simbolico di ciascuno di essi, il raggruppamento dei tre colori, bianco, rosso, blu (o nero, verde) in un sistema simbolico, con i valori funzionali che abbiamo precisato, è molto raro e, fino ad oggi, non è stato trovato che nei pochi casi qui riuniti, che sono tutti legati alla tripartizione fonda¬mentale delle società indo-europce, e di esse soltanto, nel mondo antico