È bastata una foto [quella a fianco] che riprendeva assieme tre bandiere (un tricolore, una con la falce e il martello e un’altra di Futuro e libertà) e l’ipotesi di un’alleanza civica a Latina tra Pd ed esponenti provenienti da destra, per riaprire lo scontro tra i nostalgici dei vecchi steccati e chi propone nuove sintesi. Quella foto scattata a piazza Montecitorio, nel giorno in cui la Camera votava sul conflitto di attribuzione per il caso Ruby, ha ridestato dal torpore della seconda metà del Novecento addirittura i teorizzatori dello scontro “antropologico”. Una visione stantia, che era già archeologia per chi ha vissuto davvero lo stagione del Sessantotto. A questi, allora, è consigliata la lettura “preventiva” di un passaggio della Carta della Sorbona (il “documento” del Maggio francese) quando già, decenni fa, si affermava: «Nessuno si meravigli del caos delle idee, nessuno ne sorrida, nessuno ne tragga motivo di burla o di gioia. Questo caos è lo stato di emergenza delle idee nuove…».
La vita è difficile. Ma quasi niente, a parte l’immortalità fisica (per ora) è impossibile. La politica poi che, come sosteneva Otto von Bismarck, «non è una scienza ma un’arte» è, addirittura, «la dottrina del possibile». Come in tutte le arti, però, anche in quella del possibile, oltre agli artisti veri ci sono i pataccari, gli imitatori, i falsari. Gente che – metaforicamente parlando – saprà pure tenere il pennello, una chitarra o una penna in mano ma, mancando d’immaginazione, di fantasia, di estro si limita a ripetere il già dipinto, il già sentito, il già detto. Senza mai uno scarto innovativo, un’invenzione, un lampo di genio. Anzi, peggio: ogni volta che uno di loro incontra qualcuno capace di farlo, si barrica dietro le proprie certezze e bolla l’altro come un dilettante indegno di presentarsi al suo cospetto. Di esempi del genere, nella storia della politica, ce ne sono a bizzeffe. Ma senza andare troppo in là nel tempo, basta pensare a come i socialisti della sua epoca considerarono Benito Mussolini. Quel massimalista sovversivo che non aveva capito – secondo loro, i socialisti avveduti – come si facevano i veri interessi del proletariato. Beccandosi giustamente sulle mani le bacchettate di quell’altro grande artista della politica che fu Lenin: «Avete perso con Mussolini la grande occasione, l’unico in grado di fare la rivoluzione in Italia». Eh! che volete farci? Così va il mondo: artista intende artista, mentre i pataccari non arrivano mai alla loro altezza.
Ora, fatte tutte le debitissime proporzioni fra ieri e oggi, situazione e situazione, personaggi e personaggi, e mutatis mutandis, non è che le cose siano poi cambiate di molto. Prendiamo come riferimento la disputa di questi giorni sulla possibilità di creare una lista Pennacchi-Fli per le prossime consultazioni amministrative di Latina. Pennacchi chi, innanzi tutto? Ma sì, lui, Antonio Pennacchi il romanziere, il vincitore in carica dell’ultima edizione del Premio Strega con quel Canale Mussolini che segna, nell’asfittico panorama della narrativa italiana, il ritorno del grande romanzo epico e popolare. Lo scrittore, sì insomma: il fasciocomunista che in giovinezza aveva militato nel Msi per poi passare all’estrema sinistra, nei sindacati, nel Psi, nel Pci, sempre espulso per posizioni che i dogmatici di tutte le chiese trovavano immancabilmente troppo eretiche per i loro gusti. Avete inquadrato il personaggio? Bene: proprio lui che oggi si ritrova in tasca la tessera del Pd (e, stranamente, non ne è stato ancora espulso) se ne è uscito nei giorni scorsi con un’altra delle sue diavolerie: faccio una lista con Fli, ci metto faccia e nome, non mi candido in prima persona per la carica di Sindaco ma, insieme, appoggiamo il candidato di centrosinistra. Già detta così la cosa, ti prende un colpo. Ma state a sentire le ragioni che lo spingono a tanto.
Pochi giorni fa, su queste stesse pagine, in un’intervista concessa ad Antonio Rapisarda che gli chiedeva: «Pennacchi, intende fare di Latina un “laboratorio”?» rispondeva: «Qui non c’entra solo Latina. Perché il problema della città è lo stesso del Paese. Abbiamo bisogno di un nuovo patto sociale, di ricomporre le fratture vecchie e nuove. Ma per fare questo occorre porsi una domanda: a chi interessa oggi lo Stato? Di sicuro non a chi sta adesso al governo: che è impegnato a garantire in questo preciso momento solo se stesso, al prezzo degli interessi della collettività. Per questo è necessaria un’alleanza di uomini di buona volontà. Sì, perché quello che si trova davanti non è solo l’antistato ma, mi si consenta, addirittura l’anticristo: perché a parole parla, invocando il Santo padre, di Dio, patria e famiglia mentre in realtà è un vero “drago”».
Oh! Gesù, Giuseppe e Maria. Lo vedete che scherzi fa il genio dell’arte che poi – come si diceva – è lo stesso della politica? In quattrocento battute scarse di tastiera quello (il genio) di Pennacchi prende e ti butta giù un manifesto che se non è per la rivoluzione ti scompagina sicuramente le care categorie di destra e di sinistra a cui si aggrappano gli identitaristi del presente perpetuo; t’inventa, così sue due piedi, un laboratorio politico che ritira fuori una parolina ormai desueta: “sociale”; lancia pure il progetto oltre i confini comunali della sua città, lasciando immaginare futuribili scenari nazionali. Non solo ma, udite udite, osa tanto: «È ora che i fasci veri tornino a casa, superando la frattura del 1914. I fascisti tornino a San Sepolcro!». Cose dell’altro mondo… Talmente dell’altro mondo che i conservatori (se non proprio i reazionari) di destra e di sinistra di questo mondo si sono subito affrettati a opporre il loro niet: ‘sto matrimonio non s’ha da fare. E perché, no? Perché, no. Pura tautologia. E se non è pura tautologia, sono motivazioni facilmente smontabili.
D’acchito, infatti, verrebbe da chiedersi perché Fli, in Sicilia, con due assessori nella giunta regionale, può stare in una maggioranza che comprende il Pd e mettere all’opposizione il Pdl e a Latina, invece, lo stesso non si può fare. Che ha fatto di male Latina per rischiare di ritrovarsi governata da una giunta di centrodestra che nemmeno un anno fa è stata commissariata? Ma il discorso è più largo e lo focalizza bene, ancora una volta, Pennacchi che rivolge a quei futuristi riottosi di guardare al futuro la domanda delle domande: «Ma allora che cosa siete usciti a fare dal Pdl? Tanto valeva rimanere lì dentro. E magari mettergli pure il preservativo, a Berlusconi». Sante parole, ma pensate che siano percepibili da chi comunque non vuol sentire? Diranno, piuttosto, che ci vuole saggezza, prudenza, che Pennacchi è un poeta e, come tale, a volte vaneggia… Che, soprattutto, l’elettorato non capirebbe. L’elettorato di un partito – capite? – che non ha ancora ricevuto un voto che è uno e che si pone da solo la questione della fedeltà ad una entità che ancora non esiste. Ha ragione Alessandro Campi quando, dalle pagine de Il Riformista (6 aprile scorso) brucia nella loro alienante fissazione di passatisti i custodi della vera-destra-vera, finendo per dare esplicitamente ragione a Pennacchi e a quanti in Fli (ne cito alcuni e mi scuso con gli altri: Umberto Croppi, Luciano Lanna, Flavia Perina, Fabio Granata, Benedetto Della Vedova, Antonio Bonfiglio, Filippo Rossi) hanno aderito alla proposta del narratore: «A quale elettorato può mai rivolgersi un partito che oscilla tra soluzioni tanto diverse, il cui vertice appare indeciso se schierarsi a destra, al centro o a sinistra?».
Ha ragione – dicevo – ma io andrei perfino un tantinello oltre, domandando se, oggi, collocarsi a destra, sinistra o centro abbia ancora un senso. Prendiamo le problematiche del testamento biologico, della fecondazione assistita, il riconoscimento delle coppie di fatto, anche gay, il diritto di cittadinanza e di voto agli immigrati regolari, il rifiuto del provvedimento che avrebbe creato i “medici-spia” e i “presidi-spia” contro i clandestini, il richiamo alla laicità dello stato, alla legalità, all’Europa; ecco – dico – problematiche del genere sono di destra o di sinistra? A parere mio sono bandiere civili e basta. E libertarie, direbbe il direttore di questo giornale, Luciano Lanna. E, in quanto tali, non vi sembra che siano già al di là della destra e della sinistra? E adesso trasliamo l’assunto dai grandi principi etici alle pratiche di amministrazione di un città – mettiamo proprio Latina, per esempio – che abbia a cuore il suo territorio e la sua storia, la sua architettura urbanistica e i suoi servizi sociali, la sua rete stradale e la sua produttività economica. In un ambito del genere, è davvero impossibile ipotizzare che un assessore capace formato – mettiamo – su Genesi e struttura della società di Giovanni Gentile collabori con un altro, altrettanto capace, che invece si è formato sul Capitale di Karl Marx? In fondo, le giunte comunali non sono accademie filosofiche dove si deve accertare se l’idealismo è o no compatibile con il materialismo storico, ma officine amministrative dove si realizzano i programmi votati dai cittadini.
Se quello che dico ha un senso, vorrei chiedere agli esponenti di Fli, ostili al laboratorio fasciocomunista aperto a Latina per fedeltà all’elettorato che ancora non c’è, di dare un’occhiatina al sondaggio proposto sul sito de Il Futurista. Su un campione di circa 1200 votanti, il 74,8 per cento ha espresso una maggioranza favorevole all’ipotesi della lista Pennacchi-Fli, contro un 21,7 di ostili. O anche all’altro che alla domanda: “dove si dovrebbe collocare Fli?” registra il largo successo della risposta “oltre le categorie”. I sondaggi valgono quel che valgono, è vero. E questi, per di più, non hanno nemmeno un valore scientifico, d’accordo. Ma loro dove la prendono la certezza che fare la “terza gamba” di un tavolino che ormai sembra quello delle sedute spiritiche produrrà immancabilmente valanghe di voti?
Una volta lasciato il porto, mettersi a poppa e rimpiangere la riva, anziché a prua e scrutare l’orizzonte è la maniera migliore per andare a sbattere contro il primo scoglio. E, comunque, se poi anche tutti i conservatori di destra e di sinistra, per giustificarsi della propria apatia, diranno che “la nostra storia ci obbliga…”, “la nostra cultura ci vieta…”, “la nostra tradizione politica ci impedisce…”, noi continueremo a sognare. E sognando gliene canteremo una, solo una, ma a modo nostro: «E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante / cancella col coraggio quella supplica dagli occhi / troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante / e quasi sempre dietro la collina è il sole / Ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente / ma perché tu non vuoi spaziare con me / volando attorno alla tradizione / come un colombo intorno a un pallone frenato / e con un colpo di becco / bene aggiustato forarlo e lui giù giù giù / e noi ancora ancor più su / planando sopra boschi di braccia tese». Magari quando è uscita questa canzone, Pennacchi stava già con Servire il Popolo o in qualche altro partito a sbattere i suoi sogni contro la realtà. Ma sono sicuro che se la ricorda, lui che non hai mai negato d’essere stato fascio. Chissà se se la ricordano loro: “i mai stati” e se pure lo sono stati, dormivano. Senza mai aver sognato.